Fino a pochi giorni fa, in India vigeva una legge del lontano 1861, che in sostanza bandiva l’amore omosessuale. L’amore omosessuale era un reato punibile con la galera, fino a 10 anni di reclusione. Tale orientamento legislativo era stato ribadito nel 2013. Contrariamente a ciò, i giudici indiani, con la recentissima sentenza, hanno aggiunto l’India ai 123 dove i rapporti omosessuali sono depenalizzati. Una sentenza davvero storica, scaturita anche dalla tenacia degli attivisti “Lgbt” che hanno combattuto per decenni, nonostante nel tempo si siano imbattuti in verdetti sfavorevoli. In realtà -per completezza storica e di informazione- va detto che una prima vittoria era stata già ottenuta nel 2009, quando l’Alta corte di Delhi aveva depenalizzato i rapporti omosessuali, sancendo che il divieto preesistente violasse di fatto il diritto a vita-libertà-uguaglianza previsto dalla Costituzione indiana. Tuttavia, qualche anno dopo, la Corte suprema aveva ripristinato la legge del 1861, affermando che la Carta fondamentale non era violata perché si trattava dei diritti di una piccola parte della popolazione. Veniva quindi riaffermata la sezione 377 del Codice penale: ecco perché la ragazza della foto ha impresso sulla fronte quel numero. L’India è un paese molto conservatore e patriarcale, e la legge fa un po’ fatica a vidimare conquiste che per popoli come noi sono sottintese, ma in altri tipi di culture incontrano resistenze profonde. In alcuni paesi, la legge prevede che l’omosessualità sia punibile con la pena di morte. In vari paesi africani esiste anche il reato di “omofilia”, praticamente un “reato d’opinione”. Per molte culture, insomma, nel 2018 l’omosessualità è ancora una condizione inaccettabile.