di Sergio Fanti
In una recente intervista, Vittorio Feltri si è scagliato contro la pressapochezza dei magistrati che si occuparono del caso Tortora. Ricordiamo brevemente che il popolare presentatore fu accusato di avere ripetutamente fatto compravendita di droga. L’accusa era di alcuni criminali, diventati collaboratori di giustizia.
Esaminando le carte, Feltri ha notato la testimonianza di Melluso (uno di questi collaboratori), che asseriva di aver venduto droga in una scatola di scarpe consegnata a Tortora. L’operazione sarebbe avvenuta a Milano il 5 maggio. Feltri ha fatto una veloce verifica su dove Melluso si trovasse il 5 maggio, e figurava essere detenuto al carcere di massima sicurezza a Campobasso.
foto tratta da tarantinitime.it
E’ incredibile come una simile testimonianza possa essere stata presa sul serio e avere rovinato la vita a un uomo che non c’entrava assolutamente nulla coi fatti che gli sono stati ascritti.
Feltri trovò anche fotocopiata negli atti l’agendina di Pandico (altro pentito) che aveva tra i vari numeri annotato quello di Tortora. Con un semplicissimo controllo telefonico, Feltri ha verificato che il numero di telefono corrispondeva a un signore di Napoli, e non al povero Enzo Tortora.
L’innocenza di Tortora e la sua completa estraneuità ai fatti fu dimostrata dopo anni, in un calvario che lo debilitò. Feltri chiosa amaramente, dicendo che se questa cosa fosse capitata a un anonimo cittadino, costui sarebbe rimasto in galera per tempo inegfinibile.
Quei magistrati, nel migliore dei casi, furono disattenti e distratti. Comunque colpevoli. Comunque omicidi.