Devo ammettere che il saggio di Ricolfi “La società signorile di massa” alla prima lettura mi ha positivamente impressionato sia per alcune intuizioni molto illuminanti, sia per la mole di dati utilizzati. In effetti, l’ossimoro del titolo era accattivante e prometteva bene. Nulla da eccepire sul fatto che in Italia si viva al di sopra delle reali possibilità del paese. Senonchè questi comportamenti di cui si accusa la maggior parte degli italiani sono esattamente quelli che tengono in vita il sistema neoliberista e nessuno ha i titoli per chiedere ai cittadini di retrocedere rispetto alle logiche consumistiche imperanti dopo avere fatto dell’imperativo “consumate!” il mantra dominante! Ai diritti del cittadino si sono sostituiti i doveri del consumatore!
Ma ciò che più mi ha colpito, man mano che andavo avanti nella lettura, era il fatto che lo Stato e la società facevano capolino solo qua e là fra le pagine del saggio.
Il tentativo riuscito, almeno nel modo in cui tratta i dati che ha messo insieme, è quello di isolare l’individuo dalla società e al tempo stesso far finta che lo Stato non sia una realtà che entra pesantemente in gioco nelle dinamiche sociali, quello stesso Stato a cui nella fase liberista veniva chiesto di tenersi fuori dalle scelte economiche, e a cui oggi, nella fase neoliberista, o meglio ordoliberista, viene chiesto di inserire nei suoi ordinamenti i principi del liberismo economico.
Il volere addossare in gran parte le colpe del futuro collasso della nostra economia all’individuo, a un soggetto avulso dalla società, risulta insopportabile perché annulla in un sol colpo uno dei principi fondanti dello studio dell’uomo, ovvero che quest’ultimo deve, nel bene e nel male, alla società gran parte di ciò che è, fermo restando il riconoscimento del talento individuale che però da solo non può giustificare il successo, a meno che non si condivida lo slogan tatcheriano “la società non esiste”.
Ho trovato interessante a questo proposito il “Trattato di economia eretica” di Thomas Porcher, che smonta tutti gli “assiomi” dell’economia neoliberista, il principale dei quali è, senza dubbio, quello secondo il quale le capacità individuali riescono sempre ad emergere, a prescindere dai contesti sociopolitici.
Ricolfi non sembra, poi, avere dubbi su quella che viene chiamata “ipernormazione”, la quale sarebbe alla base del mancato decollo della nostra economia. È verosimile che, seguendo la vulgata corrente, il ritardo nello sviluppo possa ascriversi unicamente all'”ipernormazione”? L’assenza da decenni di un’idea di politica economica da parte della classe politica e il favore reso da quest’ultima ai gruppi industriali familistici che hanno trovato comodo percorrere la scorciatoia degli aiuti di Stato per fare profitti, anziché puntare sull’innovazione, sono forse invenzioni? Di tutto ciò non v’è traccia nell’analisi di Ricolfi.
A ciò si aggiunga come, sbrigativamente, l’autore liquidi il tema dell’istruzione, accusando il sistema scolastico di “donmilanismo”, aggettivo dispregiativo che prelude alla volontà di ignorare l’altro grande assente della sua ricerca: il tema delle disuguaglianze.
Come si può prescindere oggi dal ritenere che lo scoraggiamento dei giovani sia dovuto in buona parte alle politiche austeritarie che hanno alimentato la disoccupazione, soprattutto fra i ceti meno abbienti, e invece collegare la mancata ricerca di un lavoro da parte dei giovani a quello che lui definisce il “subconscio successorio”, ovvero il non voler cercare un lavoro sapendo di poter ereditare beni, come la casa, che gli permetteranno di vivere agiatamente? Aveva ragione la professoressa Fornero quando definiva “choosy” i giovani di oggi? Allora, mentre piangeva, mi immaginavo lo scoramento dei suoi figliuoli e mi prendevo pena del loro destino!
Anche in questo caso la società e lo Stato sembrano esenti da responsabilità. Dunque, questo il quadro: il giovane che vive in periferia, che pur non potendoselo permettere viaggia e va al ristorante ogni settimana, è lo stesso che ha i genitori che gli lasceranno un’eredità tale da consentirgli di non pensare al futuro. Con tutto il rispetto per i numeri di Ricolfi, ho sviluppato un’immagine diversa del rapporto centro/periferia. Il ragazzo che vive spendendo più di quello che può permettersi, credo che sia vittima di un sistema che, grazie anche alla dilazione dei pagamenti, che produce ricchezza, questo sì, per le grandi finanziarie, lo spinge a comprare sempre di più, promettendogli il paradiso in terra e sussurrandogli: “tu sei ciò che hai”! Colpevolizzando l’individuo il sistema si autoassolve! Vecchio refrain che a quanto pare sembra ancora funzionare!