La “social” solitudine

La diffusione dei social  ha dato luogo a tante analisi, non foss’altro che per il fatto che essi rappresentano una modalità del tutto nuova nell’ambito della comunicazione umana. Le scienze umane e la filosofia hanno affrontato questo tema per fare luce, ciascuna dal proprio punto di vista, sulla peculiarità di questi strumenti, rispetto a quelli già in uso prima del loro avvento, e sulla ricaduta che essi hanno sulla vita delle persone. La riflessione cui mi ha spinto l’uso dei social, sin dalla loro comparsa, mi ha portato a  collegarli al tema della solitudine dell’uomo moderno o, come piace a qualcuno, dell’uomo postmoderno. Man mano che procedevo nella riflessione, si andava chiarendo sempre più in me la differenza tra il soffrire per la solitudine e l’aver paura della solitudine, intesa come paura di restare soli con se stessi.  Gli studi sulla comunicazione umana e la riflessione filosofica hanno consentito di guardare ad essa con nuovi occhi, svelandone anche lati positivi, come, per esempio,  il considerarla una condizione privilegiata che permette all’essere umano di recuperare quella dimensione interiore e riflessiva diventata merce rara nel nostro tempo. Rumori, musica, assenza di silenzio, paura del vuoto, sono caratteristiche che ormai hanno invaso le nostre vite. Tutte le nostre azioni quotidiane sono ormai accompagnate da un sottofondo di suoni e rumori che ci tolgono il piacere di godere momenti di isolamento dal mondo, che ci impediscono il raccoglimento in noi stessi. Perché, in fondo, è questo uno dei problemi di noi uomini e donne  moderni, l’incapacità e, direi, fors’anche la paura di stare da soli con noi stessi, per riflettere sulle nostre esistenze sempre più riempite di azioni eterodirette, dettate da falsi bisogni, funzionali alla logica mercatista che ha invaso ogni attimo delle nostre giornate, e cosa ancora più grave, anche le giornate dei figli del benessere che vengono sballottati durante i loro pomeriggi fra palestre, insegnanti di musica, scuole di danza, calcetto, e dio sa quante altre attività. Non si educa al silenzio, fonte di scoperte interiori e di riappacificazione con se stessi. Non si lascia il tempo della riflessione, generatrice di dubbi che, se guidati dalla presenza degli adulti, consentono di crescere. Nasce da lì la paura della solitudine, di questa condizione che, come la morte, è stata cancellata dal nostro orizzonte, per lasciare spazio ad una vita vissuta compulsivamente, popolata di improvvisati maestri di ogni tipo che dicono di sapere qual è il nostro bene e di influencer che guidano i nostri desideri. E i social? Lo spazio che sarebbe potuto sfuggire al caos indistinto del nostro tempo, lo spazio domestico, è stato occupato, manu militari, dai nuovi social, che, dandoci l’illusione di essere collegati col mondo, hanno finito con l’amplificare a dismisura la nostra solitudine, a torto considerata una nemica. E invece, è esattamente il contrario di ciò che appare. Abbiamo bisogno di una nuova solitudine, di un ancoraggio a qualcosa di autentico, di un’educazione alla solitudine, come momento di scoperta del nostro sé più vero. E non è un caso se M. Heidegger, uno dei più grandi filosofi del Novecento, ha  messo in relazione la solitudine con la vita autentica. Solo riscoprendo il piacere e il valore della solitudine potremo avvicinarci agli altri con la voglia di capirli, di comprendere che la loro solitudine è lo specchio della nostra. Se è ormai quasi impossibile realizzare ciò con gli adulti, vittime di un sistema che li ha fagocitati a tal punto da far loro credere che sia impossibile, anche soltanto per un tempo limitato, sottrarsi ad esso, molto, credo, possa farsi con i bambini e i ragazzi, creando occasioni, tempi e spazi adatti a risvegliare il piacere della riflessione e del silenzio ristoratore, rallentando le loro vite, nella speranza che questa sia la strada giusta per formare donne ed uomini in grado di stabilire relazioni significative. Il prendersi cura di noi è la premessa per prendersi cura degli altri, ma il tempo della cura di noi è il tempo della solitudine ricercata, capace di aprirci orizzonti inediti, quegli orizzonti che ci dischiudono quelli degli altri, mentre è sempre più diffusa la tendenza a confondersi in quella realtà impersonale che è la folla deresponsabilizzante, quella che ci fa rinchiudere in un mondo popolato dai falsi miti della società dei consumi.