Pochi scatti, un lungo viaggio

Dissertazione stralunata di Tiberio Artioli stimolata dalle foto di Maurizio Poli La fotografia è un documento; ferma uno stato di cose in un determinato momento e con particolari condizioni. E’ un segno scritto con la luce che può offrire un dato di oggettività per portare altri a conoscere, e ancora può dare la possibilità di trasportare a futura memoria un evento, un oggetto. Il risultato che ne scaturisce è una mediazione tra il fotografato e il fotografo. Come la materia che è fotografata, anche il fotografo è composto di questa, ma non solo. La conoscenza sviluppata nel tempo, l’attenzione a quanto ci circonda, la padronanza del mezzo di cui ci si serve per la scrittura, il confronto, consapevole o no che sia, che avviene ogni qual volta si guardano immagini di altri, porta a una crescita interiore che investe tutto il proprio sentire: l’anima, diremmo per differenziarla dalla sostanza, dagli oggetti, dalle cose. L’intelletto, che elabora tutte le informazioni nell’agire del fotografo, porta a sintesi l’insieme dell’esperienza e con una veloce azione della materia, quella grigia in questo caso per intenderci, condizionata da dati oggettivi e interiori, porta a catturare la luce e fissarla col proprio sentire: chiamala se vuoi emozione. Le foto di Maurizio Poli che abbiamo avuto modo di apprezzare in una personale allestita presso il Municipio di Castenaso (Bo) tenendoci a debita distanza dagli altri visitatori (Corona Virus docet) sono la rappresentazione di luoghi dell’anima che liberati da consueti e massificati stereotipi, penetrano la membrana della superficialità che spesso ci avvolge, donandoci sussulti di piacere: chiamala se vuoi emozione per dirla ancora alla Giulio Rapetti, detto Mogol. Giusto ritmo della prospettiva che si apprezza per via del rilievo che oggetti o persone assumono sono il leitmotiv, il filo rosso, di parte delle foto esposte; paesaggi marini accarezzati o violentati dal clima, segni discreti di antropizzazione, ricerca di luce che porta a confondere gli spazi rappresentati: la materia che s’incontra con l’anima. Dialogano leggeri contrasti cromatici con decise intromissioni che portano lo spettatore a privilegiare lo sguardo sul particolare che lo stesso fotografo ha voluto come centro della propria attenzione. Ecco quindi le foto che portano a una piacevole empatia; offrono allo spettatore la possibilità di spaziare con la mente tra un capanno sospeso tra acqua e cielo, attraverso un natante in navigazione solitaria o una dolce nevicata su una spiaggia sorpresa dall’insolito evento e ancora segni di vita balneare o di placida attesa di questa. Pianura d’aria e sole Pianura di pittori e matti Di cieli sopra fabbriche e campanili La foto prende il cielo La foto prende il ferro e il cemento La foto ruba il sole e ruba l’anima E ancora caldo, ancora piatto Sull’orizzonte Ancora pioppi e bici E nubi bianche su queste pianure Di nuovo casa Così recita una ballata che i Modena City Ramblers dedicarono a un fotografo che pur se strappato alla vita precocemente, ha segnato la storia della fotografia e, volenti o nolenti, tanti fotografi. Una bicicletta appoggiata a un palo in prossimità di una pista ciclabile battuta da un sole cocente è una citazione, una dedica a Luigi Ghirri che ci ha insegnato a isolare un particolare facendolo emergere da un indistinto tutto e porlo al centro della cornice fotografica. Nelle foto appartenenti alla seconda parte dell’ esposizione, Maurizio Poli usa il medesimo pretesto narrativo e ci conduce fra mercati rionali, centri storici ancora addormentati, case affascinanti appartenute ad altre epoche. Un respiro di cordialità, di quotidianità, di nostalgia e compiacimento estetico ci pervade, trasporta e porta ad assorbire sensazioni già provate e, grazie alle immagini, rivissute secondo il proprio sentire. Si può, volendo, intraprendere una navigazione grazie a pochi scatti, scelti fra i tanti realizzati nel tempo dall’autore, ma che fanno percorrere un grande spazio muovendo le nostre corde percorse spesso da avidi pensieri, portandoci a condividere lo scopo intrinseco e ultimo dell’agire del fotografo: e chiamala se vuoi emozione.

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