Pur essendo convinto che esistano argomenti demodè quale quello, ad esempio, della democrazia dal basso, mi ostino a misurarmi con essi, non per narcisismo accademico, ma perché sono altrettanto convinto che le riflessioni facciano comunque bene al pensiero, affinché non si arrugginisca e appiattisca sull’esistente.
Perché demodè è sotto gli occhi di tutti. In una società sempre più vittima della “sindrome dell’esperto”, alimentata ad arte per convincere i cittadini della loro inadeguatezza nel poter scegliere le soluzioni migliori, diventa impossibile intervenire nei processi decisionali, che richiedono, a detta dei politici, conoscenze specialistiche non accessibili ai più. Ecco allora che diventa plausibile proporre la “patente per votare” o la “democrazia a sorteggio”, come nell’antica Grecia. Una variante, attualmente in atto, è il “governo dei migliori”, versione edulcorata di questa concezione che ha il vantaggio di conservare formalmente i caratteri della democrazia.
A conferma di ciò basta vedere cosa è accaduto ai referendum, la superstite forma di democrazia diretta. Si chiamano tutti i cittadini maggiorenni alle urne per esprimere il proprio parere su una questione riguardante un bene pubblico, come ad esempio l’acqua o sul nucleare. Si celebra questo rito, esaltando il valore della partecipazione diretta alla vita democratica, dopodiché la politica decide senza tenere conto della volontà popolare. La forma è salva? Parrebbe di sì, ma in questi casi, come in altri, la forma è sostanza.
E taccio sulla incresciosa prassi di invitare i cittadini a disertare le urne per evitare il raggiungimento del quorum, invito che dimostra in maniera plateale quanto sia grande la paura del giudizio popolare.
La tanto invocata democrazia dal basso è evidente che non ha spazio nella nostra società gestita in maniera privatistica da gruppi di potere, quali sono i partiti che, nati per dare voce ai bisogni dei cittadini, sono diventati un coacervo di interessi completamente slegati dalle richieste provenienti dalla società civile.
Va, peraltro, ammesso che spesso sono proprio i cittadini ad alimentare questo stato di cose, affidandosi a questo o quel politico per ottenerne dei favori, anziché condurre battaglie comuni finalizzate al raggiungimento di obiettivi comuni.
Un tentativo fallito miseramente, anche se si tenta inutilmente di tenerlo in vita, è quello del Movimento 5Stelle che ha provato, senza successo, a realizzare una forma di democrazia diretta attraverso il digitale, con lo slogan “Uno vale uno” (1). Al suo fallimento hanno contribuito sia il falso mito della rete “libera”(2), sia la difficoltà di far coesistere la volontà degli iscritti al Movimento con le decisioni cui sono chiamati i loro rappresentanti in Parlamento. Ciò a dimostrazione del fatto che le responsabilità di governo conducono spesso a dei compromessi che fanno parte della politica, che qualcuno ha giustamente definito “l’arte del compromesso”, ricordandoci che solo i regimi dittatoriali governano senza compromessi. Ma quando questi raggiungono un livello tale da tradire la volontà degli elettori la conseguenza più grave, che è sotto i nostri occhi, è l’astensionismo, la spia del fallimento del contratto ideale fra cittadini e politica.
Esiste una soluzione? Si, ma si trova in quella dimensione etica che dovrebbe sempre accompagnare la politica ma che non pare, però, preoccupare i politici al punto che avere delle pendenze con la giustizia diventa spesso motivo di vanto e di promozione sul campo, una specie di medaglia al valore, con il più o meno esplicito giudizio negativo sulla magistratura, la cui azione viene stigmatizzata con l’appellativo di “giustizia ad orologeria”. Senza considerare che, quasi sempre, il Parlamento, come una vera corporazione, fa fronte comune contro le richieste di autorizzazione a procedere, anche quando sussisterebbero validi motivi per accordarla.
E come nel gioco dell’oca, torniamo alla casella iniziale, a quella questione morale che tanto appassionò gli animi negli anni Ottanta, ma che rimase lettera morta, e che si è spenta definitivamente da quando, come ha scritto M. Revelli, la politica è diventata una politica senza politica (3).
1.
Rimando al riguardo al saggio di M. Panarari, Uno non vale uno. Democrazia diretta e altri miti di oggi, Marsilio, 2018.
2.
Si veda in proposito il breve saggio del 2014: La rete è libera e democratica FALSO!, curato dal gruppo di ricerca interdisciplinare Ippolita, per i tipi della Laterza.
3.
M. Revelli, La politica senza politica, Einaudi, 2019.