I GRANDI ALBUM: “ASPETTANDO GODOT”

di Sergio Fanti

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“Aspettando Godot” è l’album di esordio di Claudio Lolli, datato 1972. A quel tempo la canzone italiana era ancora una canzone di maniera, che – a  parte qualche doverosa eccezione – parlava soprattutto d’amore e in modo abbastanza lezioso. I cantautori genovesi degli anni ’60 avevano scritto cose belle e inconsuete, ma non avevano cambiato sostanzialmente il corso delle cose. Il vero cambiamento avverrà proprio negli anni ’70, quando i nuovi cantautori si impossesseranno del mercato e quindi muteranno l’estetica della canzone.

Lolli arrivò alla possibilità di questo album grazie all’intercessione di Guccini, che in una serata alla famosa “Osteria delle Dame” lo presentò a qualcuno della Emi (sua casa discografica). In tutto il disco si respira la poetica di Lolli, impregnata di un senso di distacco e di rinuncia quasi implicito nell’approccio ad ogni tema. La canzone che intitola l’intero album è una triste ballata sullo scorrere di una vita esauritasi nell’attesa, nell’attendere qualcosa che non poteva avverarsi. Solo nella risoluzione del suicidio, il protagonista della canzone si risolve finalmente a vivere: “ho incominciato a vivere forte proprio andando incontro alla morte”.

Subito dopo, quel ragazzo esordiente del 1972 propone un altro piatto forte: “Borghesia”, una canzone particolarmente radicale che demolisce i valori piccolo-borghesi dell’Italia clericale di quegli anni. La borghesia che si rallegra delle sventure o della morte dei criminali, che chiuderebbe in manicomio zingari e intellettuali, che sa mentire con cortesia, cinismo e vigliaccheria. La borghesia intrisa di contraddizioni di comodo: “Ami ordine e disciplina, adori la tua polizia, tranne quando deve indagare su di un bilancio fallimentare” . E’ un testo davvero bello e forte, più tagliente di tante canzoni di propaganda urlate: Lolli, con la sua voce sommessa, colpisce molto di più, grazie alla potenza delle immagini del testo ben accompagnato da giri armonici molto cantautorali e di matrice francese.

“Michel” è un toccante affresco emotivo su una fortissima amicizia tra compagni di scuola, un’amicizia che si estende fino a confinare con un sentimento amoroso. La costruzione melodica è densa di sensi evocativi che ben si prestano a rafforzare le suggestioni del testo.

Già nel primo album, Claudio Lolli affronta il tema dell’alienazione urbana e industriale. Ne “L’isola verde” dipinge la vita di un operaio alienato a tal punto da impazzire e buttarsi dal balcone: “l’aria riempie il palato, la terra raccoglie le ossa di un uomo impazzito”.

Altro testo di grande spessore è “Il tempo dell’illusione”, una successione quasi cinematografica dei passaggi obbligati della vita, di quest’avventura non richiesta nella quale ognuno di noi viene catapultato e si trova un canovaccio emotivo già pronto da indossare, stagione dopo stagione.

La facciata “B” dell’album si apre con “Quelli come noi”, ritratto di due amici sconfitti dalla vita, come da un avversario incomprensibile.

“Angoscia metropolitana” trasmette in modo forte l’alienazione delle grandi periferie. Molto azzeccata l’unione tra parola e melodia, che ben restituisce il senso di chiusura e di ossessione di chi vive in grandi casermoni ai margini delle città.

Poi c’è “Quello che mi resta”, canzone lacerante su un abbandono amoroso, quasi ossessiva nella rassegnazione priva di energia. Un testo davvero bello, che restituisce l’impotenza dell’innamorato davanti alla nostalgia del ricordo: “quello che mi resta dei tuoi giorni è la triste sicurezza che non mi è mai importato nulla di chi di noi avesse torto. Quello che mi resta dei tuoi giorni è solo il senso di esser morto”.

“Quanto amore” è un testamento di un uomo che non è riuscito a vivere, soprattutto per l’incapacità di comunicare con l’esterno, e che opta per il suicidio.

L’album si chiude con “Quando la morte avrà”, bellissima lirica sui conflitti col padre. La voglia di accusare l’altro è venata di una rassegnazione cosmica. “Allora ti amerò, ma tu non lo saprai, e per tutti e due sarà troppo tardi ormai”.

“Aspettando Godot” è un album triste, innegabilmente. Un album in cui il suicidio appare spesso come epilogo delle vicende e delle riflessioni, come se la vita fosse una matassa di ingarbugliato dolore, troppo difficile da capire e soprattutto da esplicare.

I testi sono indubbiamente di valore, e individuano nitidamente la poetica di questo esordiente cantautore, che unisce comunismo, nichilismo e totale disincanto. Un “primo disco” molto caratterizzante: “Aspettando Godot” e “Borghesia” rimarranno nel tempo pietre miliari della carriera di Claudio Lolli. Spesso, per compiacere un’opera del passato, si dice che è ancora attuale. Queste canzoni, riascoltate 45 anni dopo, sono ancora “presenti” e probabilmente lo saranno tra altri 45 anni, perché parlano della condizione eterna dell’uomo, intrisa di sentori disperati davanti all’evidenza dell’insensatezza della nostra avventura terrena.