Un Paese precario

Si è spesso sentito dire che le grandi crisi portano anche delle opportunità, ma dopo questo allarme pandemico l’unica prospettiva che vedo concretizzarsi in Italia è un’invasiva precarietà che non si caratterizza solo nel mondo del lavoro, ma si insinua in tutti i rapporti umani e sociali. La concentrazione della ricchezza non la ritengo un danno, ma il suo inarrestabile aumento è il naturale effetto della mancanza di contrappesi alla globalizzazione dei mercati e si stanno conseguentemente dissolvendo quegli argini che hanno finora protetto le nostre elementari esigenze di sicurezza quali, ad esempio, la possibilità di curare efficacemente la nostra salute. Guardo infatti all’attuale tragedia sanitaria e noto le profonde differenze tra i dati della Lombardia e quelli delle altre Regioni, differenze che non possono essere più ritenute una casualità, ma sono piuttosto il risultato di politiche gestionali profondamente diverse: disinteressandomi di qualsiasi argomento politico, noto che, attorno alla metà dello scorso aprile, i medici morti in Italia erano 150, di cui 89 (59,33%) nella sola Lombardia e che “….il tasso di rischio di infezione degli operatori sanitari, calcolato dall’Università della California in collaborazione con il dipartimento di prevenzione del Veneto, in Lombardia è 19,1 volte superiore a quello della media della popolazione, in Veneto 3,9 volte….” (Milena Gabanelli Corriere 27.04.2020). Ma come mai? Seguo poi la politica sperando di trovare un ragionevole freno a questo doloroso terremoto, ma vedo che: i medici italiani hanno chiesto – ritengo giustamente – uno scudo penale e civile per le condizioni in cui hanno dovuto operare in questa epidemia e massima è stata l’adesione alle loro attese, ma sono stati subito presentati vari emendamenti legislativi (uno da Salvini Lega) per coprire ogni possibile responsabilità anche delle Regioni e dei relativi dirigenti sanitari e questo non lo ritengo assolutamente giustificabile anche perché, tra l’altro, impedirebbero agli stessi medici di citare chi li ha costretti a operare in una situazione inaudita; la battaglia costituzionale di Renzi contro i DPCM di Conte è costruita sul nulla, dato che gli attuali atti governativi nascono in un dichiarato stato d’emergenza che arriva fino al 31 luglio prossimo, hanno l’approvazione del Presidente della Repubblica e non ricevono alcun rilievo dalla presidente della Corte Costituzionale Marta Cartabia che ha parlato di “….possibili limitazioni dei diritti, ma proporzionate e a tempo….” (Bianconi Corriere 30.04.2020); i gruppi di potere non fanno mancare le loro pesanti interferenze, tant’è che il cardinale Ruini (a suo tempo espresse riserve sui cattolici adulti) ha manifestato i risentimenti della CEI per la mancata apertura delle chiese, ma è stata subito fermato da papa Francesco secondo cui “Bisogna obbedire alle disposizioni perché la pandemia non torni”; le banche italiane hanno negato i dividendi ai piccoli risparmiatori e ai fondi pensione (che in loro avevano investito per erogare le loro prestazioni istituzionali) provocando pressioni economiche in un momento di necessaria liquidità (pomposamente si parla di helicopter money) e contemporaneamente non riducono, nemmeno in parte, i compensi dei manager; le risorse economiche stanziate dal governo ritardano ad arrivare e in molti si affannano a dirci che per un cittadino svizzero è sufficiente trasmettere on line una specifica dichiarazione per ricevere in pochi giorni quanto richiesto, ma si dimenticano di precisare che – qualora l’importo richiesto non superasse, entro tre mesi, il controllo dall’ente pubblico interessato – quel cittadino dovrebbe restituirlo con forti interessi e subirebbe un automatico procedimento penale: ed è proprio in questa differenza temporale di controllo, mai affrontata dalla nostra politica, che la burocrazia trova da decenni la sua linfa. Anche il lassismo politico degli ultimi 25 anni è quindi causa di questa precarietà e, con il completo disinteresse della classe dirigente, stiamo riavvolgendo quelle reti di sicurezza sociale che nel dopoguerra avevamo faticosamente e diligentemente costruito. Non ne sono soddisfatto.

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