La figura di Pasolini continua ad essere oggetto di acceso dibattito nella società italiana. Certamente ciò è dovuto al fatto che, anche a distanza di anni dalla sua morte, le cose che ha detto e scritto o espresso attraverso il mezzo cinematografico hanno toccato dei nervi ancora scoperti della nostra società. È indicativo, inoltre, che la sua opera, che spazia dalla saggistica alla poesia, dal cinema alla narrativa, ha spesso scandalizzato i benpensanti.
Ma ancora più interessante è il fatto che continua ad essere tirato per la giacchetta sia a destra che a sinistra, a conferma che, si voglia o no, le sue idee rappresentano il pensiero di un uomo libero, eretico, al di là di qualunque schema ideologico precostituito. Alcune interpretazioni del suo pensiero non mi trovano d’accordo in quanto a volte forzate, ma ben vengano anch’esse, perché mi consentono di chiarire meglio le idee e, hai visto mai, farmele anche cambiare, magari soltanto su alcuni aspetti.
Quindi, profeta, dicevamo.
Profeta perché aveva previsto con decenni di anticipo quello che sarebbe accaduto alla nostra società dei consumi, quella mutazione antropologica paragonabile solo a quella avvenuta con l’avvento della rivoluzione informatica, anche se dagli effetti più sconvolgenti.
Mi soffermerò solo su alcuni aspetti della sua visione della società, quelli che secondo me, meglio di altri ne fanno emergere la sua lungimiranza. D’altra parte la funzione dell’intellettuale, che conosce il passato, è quella di individuare prima di altri verso dove va la società e di indicarne le possibili direzioni, suggerendo quelle che egli ritiene migliori. Ma spesso la Storia va da un’altra parte e precisamente dalla parte che decidono i poteri forti, in quel momento, dominanti.
Due eventi ci possono, perciò, aiutare.
Uno è quello degli scontri a Valle Giulia a Roma nel 1968, tra poliziotti e manifestanti dell’estrema sinistra. In quegli scontri appariva nella sua forma più plastica lo scontro di classe, l’un contro l’altro armati poliziotti e “figli di papà”, uno scontro in cui Pasolini dichiara, in una famosa poesia, di parteggiare per i veri poveri, i poliziotti. Detta così l’affermazione si prestava ad una interpretazione di destra, operazione che è stata fatta, mentre in realtà, Pasolini, sempre in quella poesia, dichiarava che pur essendo i poliziotti dalla parte del torto, in quel momento loro erano i poveri e i manifestanti i ricchi!(1)
Più complessa la posizione da lui assunta riguardo alla società dei consumi. Secondo Pasolini, infatti, quest’ultima rappresentava il trionfo del conformismo e della definitiva adesione al modello americano, il nuovo totalitarismo, contro quella cultura contadina che ai suoi occhi rappresentava, invece, ancora, un mondo in cui il valore della cura si opponeva a quell’edonismo che avrebbe caratterizzato i decenni successivi. Da questo punto di vista per lui il fascismo, anziché indicare un preciso periodo storico, coincideva con una categoria concettuale che identifica il fascismo con tutte le forme di totalitarismo storicamente succedutesi. Ma quella dei suoi e, ahinoi!, dei nostri tempi è una forma di fascismo che ha reso possibile una mutazione antropologica, grazie all’uso dei mezzi di comunicazione di massa, che sono serviti da “arma di distrazione di massa”! Tale mutazione è visibile nel processo di mercificazione che ormai investe tutti gli aspetti della vita umana, nell’avere elevato il profitto a unico “valore” cui sacrificare ogni altro. Il trionfo di questo modello di vita era già totale ai suoi tempi, infatti egli aveva compreso che la ricerca smodata di beni di seconda necessità aveva seppellito definitivamente la cultura contadina, di cui egli si sentiva rappresentante.
Note
1. “A Valle Giulia, ieri, si è così
avuto un frammento
di lotta di classe: e voi, amici
(benché dalla parte
della ragione) eravate i ricchi,
mentre i poliziotti (che erano
dalla parte
del torto) erano i poveri. Bella
vittoria, dunque,
la vostra! In questi casi,
ai poliziotti si danno i fiori,
amici.”
(dalla poesia “Il PCI ai giovani!!”)