Roberta Betti, nata e cresciuta nella bassa Toscana e precisamente nella bella Chiusi, ha il dono naturale di riuscire a far vibrare i tasti più profondi di chiunque osservi una sua opera, e lo fa attraverso un linguaggio apparentemente più incomprensibile, quell’Astratto che l’occhio non è abituato ad avere davanti quotidianamente, e per questo di più difficile comprensione. Tuttavia il talento di questa artista le permette di trasportare le proprie emozioni in una dimensione superiore, quella che viene percepita a livello intuitivo e, in virtù di questo, di arrivare diretta alla sensibilità di chi guarda un suo dipinto e lo travolge. In questa intervista ci rivela di più di sé e della sua arte. Roberta, la prima è la domanda di rito: c’è stato un momento particolare in cui ha sentito in modo chiaro di aver bisogno dell’arte per esprimersi? Ho sentito fin da piccola il desiderio di esprimermi attraverso la pittura. Una passione nata ai tempi della scuola anche se gli studi intrapresi sono stati altri. Ma la passione che c’era è rimasta solo sopita e, finalmente, nel 2010 tutto ha trovato una connotazione più precisa e organica grazie all’apertura di uno spazio dedicato alla produzione e all’esposizione: il mio Atelier “Il Punto di Fuga”. Le sue opere hanno un forte impatto emotivo, sembrano addirittura travolgere l’osservatore. Le sensazioni che fuoriescono dalle sue tele sono le sue, e dunque compie un passaggio dall’interno verso l’esterno per liberarle, oppure segue un impulso inconsapevole e solo dopo prende atto dell’intensità del messaggio che ha impresso? Tutto parte da un forte richiamo interiore, una ricerca introspettiva, legata al mio sentire, un messaggio che concretizzo attraverso il mio “graffiare”, un’azione per togliere da dentro quello che più dà sofferenza; quindi la scelta, a volte, dei colori scuri predominanti ma al tempo stesso la frammentazione, la scomposizione del segno e i graffi che portano all’osservatore il vero messaggio: “la luce”, quasi un’esortazione a uscire dalle profondità oscure degli abissi per tendere verso un senso di libertà, di serenità, sempre più difficili da trovare. Quindi sì, le mie sensazione vengono da dentro e fuoriescono in modo istintivo per essere trasferite nella tela come se fosse un mezzo per la liberazione sottoponendole così all’osservatore per travolgerlo e invitarlo a cercare, a scoprire un’emozione. Per questo la forza del risultato finale è visibile solo alla fine. La scelta dell’Astrattismo spesso è un punto di partenza ma in altri artisti un punto di arrivo: qual è il suo caso? È stato un iniziale avvicinamento naturale oppure uno spostamento, un’evoluzione dopo aver sperimentato altri stili pittorici? Per me l’astrattismo è stato un punto di svolta, di evoluzione. Ho sperimentato altri stili pittorici, soprattutto legati alla natura; vivendo in Toscana, circondata da tanta bellezza, era inevitabile non dipingere luoghi che mi potessero trasmettere un continuo senso di pace e armonia. Ho iniziato con gli oli su tela negli anni Novanta, poi ho sperimentato gli acquerelli nel 2000 e poi gli acrilici, inizialmente però sempre legati al paesaggio circostante. Dipingere la natura e gli scorci dei luoghi a me familiari mi ha sempre regalato momenti di profonda serenità come se riuscissi ad assorbire il bello dalla natura e a immagazzinarlo dentro di me. Piano piano però la parte interiore ha cominciato a materializzarsi in alcune bozze inizialmente dagli stili poco definiti e chiari che mi hanno aperto la strada alle forme indefinite che caratterizzano la mia pittura attuale. Dal 2010 con l’apertura dell’Atelier si è creato dentro di me un desiderio di continua ricerca interiore che meglio si esprimeva con l’arte astratta, ricerca che, nel mio caso, si materializzava con un sentire, a tratti angosciante, dell’esistenza contemporanea, a volte precaria, a volte effimera, ma anche illuminante, e che rappresento attraverso il “graffio”. Quel graffiare che mette l’individuo in contatto con la parte più costruttiva ed evoluta della vita. Lei predilige il tema del vortice, che apparentemente è generatore di caos, di tempesta interiore, associandolo però con molta frequenza a colori rassicuranti, rasserenanti, che donano una sensazione di pace. Ci spiega il perché, o meglio l’impulso che la spinge verso questo dualismo? Nel mio astratto ci sono state varie sezioni o serie: i Vortici, l’Evoluzione, l’Involuzione e infine, l’ultima, l’Introspezione che forse raggruppa un po’ tutto il senso del mio linguaggio artistico. Ogni sezione indaga i lati chiari e oscuri del nostro essere. I vortici rappresentano il caos, le continue emozioni che si susseguono nel tempo in maniera ciclica e che sono l’essenza della vita stessa. L’esistenza è spesso fatta di lunghi periodi oscuri che vengono interrotti da brevi ma intensi lampi di felicità. In questa alternanza i colori hanno il loro effetto antagonista, da emozioni dolorose e complesse si passa a tonalità più rassicuranti che preannunciano la serenità a cui ognuno di noi inconsciamente tende. La serie Vortici prelude all’Evoluzione, simbolicamente rappresentata, tra gli altri, dal profilo di un uomo tecnologico che incarna il progresso, un progresso che se spinto all’estremo porta, a volte, anche alla distruzione. Da qui l’Involuzione, il regredire umano, la scomposizione del segno, il ritorno a forme primordiali pur nella modernità. Introspezione è invece la parte più profonda della ricerca. Non solo astratto, la sua creatività è molto eclettica e la porta a sperimentare e a misurarsi con tessuti e altri materiali che arricchiscono il suo atelier; ci parla della parte più commerciale della sua produzione? Ho sempre amato ogni forma d’arte, ho sperimentato il tornio, la ceramica, la pittura su vetro; tutto quello che è creatività mi ha sempre affascinata. Quindi, oltre alla parte astratta, il mio lavoro continua con la parte pittorica, quella più commerciale e legata sempre al territorio e al paesaggio. Acquerelli, acrilici su tela, oggettistica varia. Negli ultimi anni mi sono avvicinata anche alla pittura su stoffa, riscontrando interesse da parte del pubblico, a cui affianco anche la riproduzione delle mie opere su foulard. Quali sono i suoi prossimi progetti? Cos’ha in cantiere? Per il momento, dopo questo periodo veramente difficile per tutti, non avendo potuto lavorare come avrei voluto, penso di continuare a creare il mio astratto, a liberare le emozioni più forti. Quanto alle mostre personali per il momento ho deciso di rimandarle al prossimo anno. Per tutte le opportunità di collettive o quant’altro le valuterò momento per momento. Attualmente ho aggiunto al mio atelier “Il Punto di Fuga” un mio “Temporary” in Chiusi Scalo (SI).