Evoluzione e cooperazione

Alcune teorie scientifiche nella loro apparente neutralità hanno contribuito ad alimentare visioni distorte della realtà. Quella della neutralità della scienza è una narrazione che ha dominato e, purtroppo, continua a dominare gran parte del dibattito su questo tema, a partire dal secolo scorso.

Senza scomodare infantili  teorie complottiste credo che si possa affermare che ha fatto comodo in alcuni casi avvalorare delle tesi che portano acqua al mulino di un sistema che si fonda principalmente su una visione individualistica  ed egoistica della società. E non intendo, nemmeno, avventurarmi  sullo scivoloso tema della socialità o ferinità originaria dell’uomo, ovvero se egli sia naturalmente buono o cattivo, o per dirla con Aristotele e Hobbes, zoòn politikòn o homo homini lupus. Questa premessa, pur chiamando in causa la filosofia, intende muoversi sul piano scientifico, anche se in maniera non specialistica, essendo il mio approccio condizionato principalmente dalle scienze umane e da alcuni presupposti propri della filosofia della scienza. Sul banco degli imputati troviamo da diversi decenni la teoria evoluzionista che ha veicolato, sin dalla sua nascita, l’idea che a partire da eventi casuali si determinano delle modificazioni della specie. Tali modificazioni risultando  più funzionali all’adattamento all’ambiente si conservano e si ereditano. A partire da questa premessa Darwin riteneva che nella lotta per la sopravvivenza aveva la meglio il più forte, eliminando, de facto, dal tavolo della discussione l’ipotesi che invece in questa lotta si realizzi una cooperazione tra specie diverse.

Tutto questo fino a quando qualcuno, volendo andare al di là del già conosciuto, ha pensato di avventurarsi in territori inediti, mettendo alla prova ipotesi che, come spesso accade nel mondo scientifico,  appaiono a prima vista folli, ma che si rivelano, col tempo densi di feconde prospettive.

È accaduto qualcosa di simile ad alcune intuizioni del padre della psicoanalisi, S. Freud, che sono state confermate, ben oltre il tempo in cui sono state elaborate, dalle neuroscienze.

La figura di spicco nel panorama di revisione della teoria evoluzionista è una donna, Lynn Margulis che, attraverso studi condotti utilizzando diversi strumenti, ha potuto ricostruire un’immagine del tutto diversa, anche se non in contrasto, della lotta per la sopravvivenza darwiniana. Alcuni saggi, seppur complessi, hanno messo in luce la validità dell’ipotesi della Margulis, facendole meritare il posto che oggi occupa fra gli scienziati più originali del secolo scorso. Infatti è grazie al suo lavoro che è stato possibile integrare la teoria darwiniana con la prospettiva cooperazionista, secondo la quale, sequenziando il DNA umano è emerso che in esso sono presenti spezzoni di DNA animali e vegetali, scoperta che conferma come l’essere umano sia il risultato di contributi provenienti da tutti gli esseri viventi, che hanno dato un apporto significativo all’adattamento dell’uomo all’ambiente.