Dalla filosofia per tutti alla filosofia per nessuno

Che dire di più di quello che si è detto sullo stato della nostra scuola? Per esempio, che l’obiettivo di azzerare la sua funzione realmente formativa è perseguito con tenacia. Sì, perché gradualmente senza che, forse,  se ne siano accorti neanche coloro i quali vivono dentro la scuola, si è proceduto, durante gli anni, a sostituire la formazione con l’informazione. Si è cioè lavorato, e si continua a lavorare, nei think tank del Ministero per fornire agli studenti nozioni buone per raggiungere le tanto osannate competenze, ovvero quel saper fare dietro il quale non c’è l’esercizio critico del senso di  ciò che si fa, ma solo il possesso di ciò che serve al mercato per poter perpetuare l’obbedienza alle sue leggi. Non so in quale altro paese il Ministero dell’istruzione è  detenuto da un economista, so solo che era da tempo  che non arrivava un messaggio così chiaro da Viale Trastevere.

Non avrei mai pensato che mi sarebbe toccato difendere Giovanni Gentile che, seppur autore di una riforma che ritengo sbagliata, aveva onestamente chiaro che stava realizzando una riforma classista e basata sulla selezione. Nei decenni, anziché prendere spunto da quell’unica cosa che di buono c’era, ovvero l’insegnamento della filosofia, unico paese europeo a prevedere un triennio per i licei, allargandone a tutti gli istituti secondari l’insegnamento, si sta lavorando ad una riduzione a soli due anni, come conseguenza della sperimentazione che mira alla riduzione del liceo a quattro anni.

E qualcuno di noi si era illuso che ci potesse essere la possibilità di introdurre, a partire dalle scuole dell’infanzia, un insegnamento della filosofia nelle forme adeguate all’età, come accade in alcune scuole del nostro paese, dove si vanno diffondendo nuove modalità di approccio alla filosofia, come per esempio la Philosophy for children.

Che ne sarà di questa illusione? 

Ma ciò che maggiormente colpisce in questo desolante panorama è, giusto per riprendere il discorso sul filosofo siciliano, l’ipocrisia dilagante nella cultura umanistica italiana, che almeno non era presente nella riforma Gentile, chiara nelle sue premesse e nelle sue conclusioni. Mi riferisco alle tante alate parole che circolano negli ambienti politici, dove, con la bava alla bocca, si decanta il pensiero critico e la creatività per poi accodarsi alla logica del mercato che della filosofia nemmeno sa dell’esistenza, e che invece, se solo alle parole seguissero i fatti, dovrebbero sapere che è solo grazie alla filosofia che si impara a dialogare e ad ascoltare gli altri, a immaginare mondi diversi e ad argomentare, per chiarire a noi stessi e fare comprendere agli altri il nostro pensiero. E, invece, nonostante già negli anni sessanta  don Milani ne avesse individuato il valore, oggi ci tocca, ancora, lottare per vedere riconosciuto il diritto alla formazione, scomparso dall’orizzonte culturale del nostro paese, sostituito  dal dovere di allinearsi al pensiero unico, un pensiero che impedisce di sviluppare ciò che, forse, c’è  di meglio nell’uomo: la possibilità di elaborare utopie.