Il paradosso della società della comunicazione

L’attuale contrapposizione tra no vax e si vax, altro non è che una variante di quella tendenza, in atto nella  società di oggi, che spinge ad affrontare la complessità dei nostri tempi in forma manicheistica, alla stregua di fedi l’un contro le altre armate. Più la realtà si va complessificando, più l’uomo tende a semplificarla, nell’illusione che possa così comprenderla meglio. In verità, l’opera di semplificazione sortisce l’effetto opposto. Essa infatti ci allontana dalla realtà, impedendoci di cogliere le connessioni che la costituiscono. Dai miti arcaici alle narrazioni moderne il fine è stato ed è sempre uguale, semplificare per capire. Ma alla stessa stregua dei miti, le narrazioni non ammettono repliche o contestazioni, esse rappresentano interpretazioni incontestabili della realtà. Più diventano intricati i rapporti tra le cose, tra gli uomini e tra gli uomini e le cose, più è in agguato la tendenza a ridurre la complessità o a negarla, e questa tendenza rappresenta l’anticamera della incomunicabilità tra narrazioni contrapposte, ognuna delle quali convinta della incontrovertibilità dei propri asserti. Sono le “echo chambers”, abitate da chi crede di possedere l’argomentazione decisiva, quella della Verità, ma senza l’intento di sbatterla in faccia all’avversario, perché gli abitanti delle “echo chambers” non dialogano con chi la pensa diversamente, rintanati come sono nel bunker delle loro certezze. Ed è paradossale che nell’era della comunicazione si vada verso la distopia dell’incomunicabilità umana. Nel cercare di capire come si sia arrivati a questo punto, vanno valutati alcuni fattori che, combinati insieme, hanno dato vita a dei fraintendimenti che hanno prodotto alcune gravi  conseguenze nella percezione della realtà, soprattutto da parte di chi non possiede strumenti adeguati per la comprensione della  complessità che caratterizza il nostro tempo. Le attese che si sono via via create nei  confronti della scienza, che agli occhi di molti rappresenta ancora lo strumento del progresso inarrestabile dell’umanità, hanno ceduto poco alla volta il passo ad una disillusione che  è, a sua volta, figlia di un uso troppo disinvolto della divulgazione scientifica. Questa, infatti, utilizzando un medium come la televisione, è finita nel tritacarne mediatico che ha disorientato i destinatari dell’informazione i quali non sono stati messi nella condizione di apprezzare il valore che ha, in ambito scientifico, il disaccordo e il confronto tra teorie diverse. Tutto ciò ha finito col creare una falsa immagine della scienza e questo deve fare riflettere sia sulla responsabilità che grava sugli esperti che, sempre più spesso si prestano ad operazioni di pura immagine, pontificando anche su argomenti che esulano dalle loro strette competenze, sia sulla delicatezza di un’operazione come la divulgazione scientifica. Indubbiamente questi  comportamenti hanno alimentato la convinzione nel pubblico che se non esiste una verità fondata scientificamente, allora tutte le affermazioni possono considerarsi vere, persino quelle dei terrapiattisti che mai avremmo creduto potessero avere un seguito, anche questo, alimentato dalla grande risonanza mediatica data a questa falsa teoria. Ciò che è in discussione è la convinzione che la scienza debba dare risposte definitive, mentre in realtà è il terreno di coltura del dubbio, poiché in essa regna, al contrario, la convinzione che ciò che è certo oggi potrà essere superato domani da altre certezze, sempre e comunque non definitive, così come è accaduto con la teoria eliocentrica che ha soppiantato dopo circa duemila anni quella geocentrica. Purtroppo nella società delle urla non è più dato ragionare con pacatezza e riflessività, diventate ormai merce rara in un mondo,  come quello dei social, in cui l’accordo e il disaccordo si esauriscono in un like e in un dislike, per tacere degli hater. Sembra che questa diffusa incapacità dell’uomo moderno di sostenere una tesi ed argomentarla, non preoccupi più di tanto la società, anzi sembra proprio che  preoccupi il contrario, se è vero, com’è vero, che neanche l’istituzione che dovrebbe avere come suo scopo lo sviluppo di questa competenza, la scuola,  sembra interessarsene, impegnata com’è a progettare percorsi che tutto prevedono, tranne quello veramente utile nella società che insegna a consumare sin dalla nascita, un percorso di educazione al pensiero e alla sua corretta espressione.