Scrive A. Zhok che la forza del capitalismo risiede principalmente nella sua capacità camaleontica di adattarsi alle situazioni e di trarre da esse i maggiori vantaggi, stroncando, giustamente, qualsiasi lettura complottista, che fa solo bene a chi non vuole affrontare la realtà. Come dargli torto! E conclude augurandosi una reazione forte, radicale allo strapotere della finanza e, in generale, dei detentori della ricchezza, da parte di tutti i lavoratori pena la definitiva resa senza condizioni cui siamo condannati in assenza di una risposta forte da parte dei cittadini, ed evito volontariamente di usare l’espressione società civile, che mi pare sia diventato un modo per ingannare gli elettori che, grazie a queste due paroline magiche, dovrebbero indirizzare valanghe di voti a figure di cui non si comprende bene la caratura politica. Pare sia diventato un marchio di garanzia, salvo poi, una volta in azione, vedere questi rappresentanti della società civile perpetuare comportamenti politici tutt’altro che indipendenti dai partiti.
È sulla conclusione che nutro seri dubbi, perché affinchè si realizzi ciò che il professor Zhok auspica dovrebbe preventivamente realizzarsi una rivolta delle coscienze. Preparata da chi? La risposta, credo, sia una sola: la scuola. Una scuola che dovrebbe centrare il suo curriculum sulla formazione di capacità critiche e di tutti i suoi correlati, principio che possiamo trovare scolpito in tanti saggi e in tutti i Programmi nazionali, oggi Indicazioni, ma che stentano a decollare nella scuola di tutti i giorni. A questo proposito sono convinto che molto sia stato fatto e si faccia nella scuola dell’infanzia ed elementare, mentre, stretti nella morsa dei programmi da svolgere, poco si faccia nella scuola secondaria, di primo e secondo grado. Osservando attentamente quello che accade nella scuola di oggi, ed escludo di proposito gli studi universitari, credo che, nonostante gli appelli a rivalutare le discipline umanistiche, la direzione verso cui si va sia quella opposta, cioè di dare sempre maggiore credito agli studi scientifici, considerati la porta principale per accedere più facilmente al mondo del lavoro, e che posseggono il vantaggio, non indifferente, di poter tenere lontana, più facilmente, ogni forma di riflessione critica.
Assistiamo, così, impotenti e con rabbia, all’affermazione di quella che Horkheimer ha definito ragione strumentale nel suo Eclissi della ragione, ovvero quella ragione che ha deliberatamente espunto dal suo orizzonte il tema dei fini dell’azione umana, una ragione che non si preoccupa di definire preventivamente quali fini siano vantaggiosi per l’uomo e la società, e che si concentra unicamente sui mezzi che, in questo modo, rappresentano un’arma micidiale in mano ai decisori politici, sempre più allineati alle logiche neoliberiste.
E la conferma di questo spostamento dai fini ai mezzi è ben rappresentata dall’uso sempre più frequente degli algoritmi nell’ambito della vita delle persone.
Il problema è che anche la scuola sembra avere accettato passivamente questo allineamento, a dispetto dei proclami che decantano le virtù del pensiero critico e creativo, termine quest’ultimo che viene usato ormai solo nell’ambito del marketing e delle start up. È possibile arrestare questa deriva?