Prendete un’idea giusta del tipo “è giusto che ogni essere umano sia competente nell’attività che svolge”, ampliatela a dismisura, applicandola a tutti i contesti possibili, e quell’idea potrebbe rivelarsi sbagliata!
L’ambito in cui ci si è spinti ad applicarla, secondo interessi di bottega, è la politica, ambito in cui sicuramente non deve essere applicata.
È da un po’ di tempo, infatti, che seguendo questa traiettoria si va sottraendo valore alla volontà popolare. E ciò non è neanche avvenuto in forma subdola, ma manifestamente, ripetendolo come un mantra, inducendo così le persone a ritenerlo un principio assolutamente valido e sempre vero.
Purtroppo questo è il frutto avvelenato della società della comunicazione, in cui una bugia ripetuta incessantemente diventa agli occhi di tutti una verità incontrovertibile. Non ho voglia di elencare tutti i casi in cui è stato applicato questo metodo, ricorderò soltanto, a scopo illustrativo, che esso ha funzionato a meraviglia a proposito del rapporto tra pubblico e privato, sostenendo fino alla nausea che il privato era sinonimo di “efficienza”, mentre il pubblico di “sprechi”! Provate a constatare e vi renderete conto di persona di come stanno realmente le cose!
Ma che significa che la politica la devono fare le persone competenti? Ma competenti in cosa? Se è vero che il medico deve conoscere la medicina, cosa deve conoscere il politico? Si intende, invero, far passare l’idea che la gente comune non è in grado di comprendere le reali dinamiche che caratterizzano la società moderna e che dunque, sentite un po’, non solo devono farla i competenti, termine con il quale probabilmente, azzardo un’ipotesi, si vuole indicare “quelli che hanno studiato alla scuola del neoliberismo”, ma che per votare bisogna dimostrare di essere all’altezza di questo delicato compito. Se qualcuno ha pensato che questa ultima affermazione sia una mia esagerazione, invito costei o costui a inserire sul browser alcune parole chiave del tipo “patente per votare” e potrà constatare de visu, fino a che punto è arrivata l’arroganza del potere, poiché, ahimè, troverà di che straziarsi nel leggere ciò che mai avrebbe pensato potesse accadere in quella che ci ostiniamo a chiamare democrazia. Certo, se la scuola anziché educare al pensiero continua a sfornare soldatini pronti da mandare al fronte della precarietà, è ragionevole pensare che non potranno mai essere in grado di capire cosa accade attorno a loro, formati come sono alla tv del dolore, ai Grandi Fratelli e oggetto di sofisticate e subdole armi di distrazione di massa come il consumo di beni superflui, unica attività che li rende graditi al sistema.
A guardare le liste elettorali, poi, balza subito agli occhi l’assenza di esponenti del mondo del lavoro, quella specie in estinzione che sono i lavoratori, indipendentemente dai partiti di destra o di sinistra, perché anche nelle liste di questi ultimi abbondano gli imprenditori e sono scomparsi gli operai, che, nonostante quello che si pensi, esistono ancora. Addirittura, qualcuno con, ancora, una coscienza di classe.
Allora, facciamo il punto. Anziché pensare di investire nell’educazione, formando delle menti in grado di pensare, si è preferito insistere sulla scuola delle competenze (arieccole!), magari con una spruzzatina di Educazione civica, e lasciare che la scuola continui ad essere una sorta di dependance di Confindustria che deve formare ubbidienti lavoratori (consultare in proposito i PCTO ovvero l’alternanza scuola-lavoro) cui ammannire due o tre pistolotti dai quali apprendere come è giusto votare, magari con tanto di questionario finale a risposta chiusa, con cui devi dimostrare di avere capito la lezione, cosicché votare, da diritto sancito dalla Costituzione, sarà declassato a semplice quiz a premi!