Dirigente d’azienda, Claudio Gattini divide il suo tempo tra la sua veste manageriale e dunque più legata alla razionalità, e la sua inclinazione creativa che gli permette di ripercorrere in maniera romanzata gli episodi salienti dei grandi eventi che hanno rivoluzionato e scosso il Novecento, nella convinzione che è proprio da quegli eventi, da quel recente passato, che si può trovare un nuovo senso e una nuova dimensione nell’approccio del vivere contemporaneo. Il suo primo romanzo Una vita non basta è un’avvincente e coinvolgente storia ambientata tra l’inizio della prima e la fine della seconda guerra mondiale, una saga familiare in cui i destini si separano per poi ritrovarsi e legarsi anche a quelle di altre persone, amici, conoscenti, che condividono con i protagonisti quegli anni dolorosi e terribili segnati da perdite di affetti e di beni, dal timore quotidiano di perdere la vita e dall’ostinazione di salvarsi a qualunque costo. Un romanzo assolutamente da leggere per ricordare chi eravamo e quanto abbiamo lottato per conquistare diritti e libertà che fino a qualche mese fa davamo per scontate. Andiamo a conoscerne l’autore. Lei ha alle spalle un solido percorso professionale di tipo manageriale, che tutt’ora svolge, ci racconta in quale momento ha sentito l’inclinazione verso la scrittura? Sono sempre stato un lettore vorace e curioso di tutto ciò che non conosco dunque per me la lettura è stata un mezzo di apprendimento di culture, periodi storici e modi di pensare diverso dal mio; questo tipo di approccio ha sviluppato in me la capacità di mettermi nei panni dei personaggi fino al punto di desiderare di essere io quello che avrebbe deciso lo svolgimento degli eventi. Tuttavia, nonostante il mio amore per la lettura non avevo mai sentito l’impulso di scrivere fino a circa quattro anni fa in cui si è fatta strada in me l’idea, via via più inarginabile, di scrivere un romanzo storico. Ciò che volevo portare alla luce ed evidenziare soprattutto agli occhi dei lettori più giovani, era le qualità, la resilienza e le virtù dei nostri nonni, quegli uomini e quelle donne di grande forza d’animo che sono stati capaci di rialzarsi, rimboccarsi le maniche e ricostruire il nostro paese dopo i due conflitti mondiali e da cui la generazione contemporanea può apprendere molto. Come concilia la sua carriera, indubbiamente molto impegnativa, con la parte creativa, quella della costruzione di un romanzo, che richiede tempo e concentrazione? Quando si ha un ruolo manageriale come il mio si apprende subito a dividere l’esistenza in scatole separate per evitare che un settore subentri e influisca sull’altro generando distrazione e confusione, perciò durante il giorno sono un dirigente fortemente concentrato sulla realtà e le problematiche aziendali, lasciando così emergere tutta la mia parte razionale. Nel momento in cui approccio invece quello che considero il mio secondo lavoro, quello di scrittore, metto a riposo il mio lato più rigoroso e logico per liberare quello più creativo, emotivo e umanistico necessario a permettermi di concentrarmi solo e unicamente sul fluire delle parole sulla carta. In questo modo riesco a gestire al meglio i due ruoli perché quando sono in ufficio dimentico completamente il romanzo che sto scrivendo, mentre quando comincio a scrivere dimentico tutto ciò che ho passato o che mi aspetta al lavoro. Qual è il momento della giornata in cui ama di più scrivere? Mi piace molto scrivere nel tardo pomeriggio e nella prima serata, questo ovviamente per esigenze organizzative, ma anche per mia indole poiché tutte le idee sui miei personaggi e sulle vicende che desidero narrare mi vengono durante la notte ma poi ho bisogno di lasciarle a riposare prima di poter riflettere e dare loro un ordine attraverso il quale posso scriverle; dunque durante il giorno prendo le distanze, mi concentro sul lavoro ma in fondo la mente creativa probabilmente continua a seguire un proprio percorso di consapevolezza che la mente razionale ignora, e poi, nel pomeriggio, sono pronto a mettere tutto su carta. Parliamo ora del suo romanzo, Una vita non basta. Ha scelto di raccontare un’avvincente storia ambientata tra la prima e la seconda guerra mondiale, una saga familiare di persone che lottano e cercano di sopravvivere nonostante le avversità: c’è qualcosa di autobiografico nelle sue pagine? Devo prima di tutto premettere che l’ambientazione storica delle vicende rappresenta per me un periodo che mi ha sempre interessato moltissimo, per i risvolti che ha avuto nella società che ne è seguita e anche per i misteri e il non detto che tutt’ora avvolge quei periodi bui della storia moderna di cui mi sono particolarmente interessato e che non è un libro autobiografico né legato a persone che conosco o che ho conosciuto nella mia vita. Tuttavia ciò che mi ha spinto a raccontare una storia ambientata tra le due grandi guerre è stato il constatare quanto i giovani della società contemporanea sembrano aver perso quei valori e quell’etica che invece era molto forte e incisiva nella prima metà del secolo scorso; ho pensato che ricordando quante difficoltà reali i nostri avi hanno dovuto superare, quanto spirito di adattamento e di cameratismo nacque anche tra persone che non erano parenti bensì erano esseri umani che davanti alle devastazioni e alla crudeltà del conflitto si stringevano e si sostenevano con spirito caritatevole per sopravvivere, forse qualcuno di questi giovani potrebbe riflettere e rivalutare alcuni valori che sono andati ormai perduti. Credo che i nostri ragazzi, nati e cresciuti in una società che li induce a sopravvalutare frivolezze e superficialità a scapito di qualità come il merito, la bravura, la capacità, le competenze, abbiano bisogno di recuperare la memoria storica di ciò che siamo stati e da dove veniamo, per permettere loro di recuperare una dimensione più reale su ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, su ciò che ha valore e ciò che non lo ha. La leggerezza con cui oggi si approcci l’uso di alcool e droghe è preoccupante e avvalora la tesi della finestra di Overton dii cui parlerò nel prossimo romanzo. Quanto della condizione esistenziale di quel delicato periodo del Ventesimo secolo può essere fondamentale per comprendere o affrontare l’altrettanto fragile presente che ci troviamo a vivere? In quale modo il passato può essere un monito e un insegnamento per la società contemporanea? Sino a qualche mese fa nessuno faceva delle correlazioni tra la vita attuale e i primi cinquant’anni del Novecento, in particolar modo con il secondo dopoguerra perché le libertà personali e la democrazia in cui eravamo convinti di vivere per sempre ci facevano sentire lontani e distaccati da quegli anni terribili; le tracce più indelebili erano rimaste nell’interiorità di chi quel periodo lo aveva trascorso in prima linea, prigioniero dei campi di concentramento e per volere della sorte miracolosamente sopravvissuto. Con la pandemia di questi mesi e il lockdown deciso per arginare la malattia e salvaguardare la salute della popolazione, ci siamo trovati a dover fronteggiare limitazioni, sacrifici e imposizioni che non possono fare a meno di riportare a galla vecchie ferite, antichi timori di vedere soppressi i diritti tanto faticosamente acquisiti e anche ad assistere a una nuova, profonda linea di demarcazione tra ricchissimi e poveri, sempre più numerosi, insoddisfatti, pericolosamente frustrati dalla loro condizione, ripercorrendo una strada già battuta nel recente passato e che si pensava fosse ormai superata e dimenticata. So che ha in cantiere un secondo romanzo, vuole darci qualche anticipazione e parlarci dei suoi progetti futuri nel campo della scrittura? Ho terminato da poco il nuovo romanzo di cui non ho ancora scelto il titolo, sono indeciso tra questi possibili tre provvisori: Doppia identità, Le verità nascoste o, in alternativa, Il patto. I personaggi sono di fantasia ma collegati a fatti realmente accaduti tra gli anni settanta e novanta, i cosiddetti anni di piombo. Gli argomenti trattati sono alquanto spinosi motivo per cui diverse case editrici si sono dimostrate restie alla pubblicazione, in particolar modi in virtù della mia ipotesi sul fatto che tutti gli eventi e le stragi furono disegnate ad arte per costringere lo Stato ad effettuare un patto con la malavita organizzata. E poi ho già in mente il soggetto del terzo romanzo, che inizierò a breve, in cui narrerò la storia di un ragazzo immigrato. UNA VITA NON BASTA Autore: Claudio Gattin Editore: Armando Curcio Anno: 2019 Pagine: 290 Per acquistare il libro: https://www.ibs.it/vita-non-basta-eta-della-libro-claudio-gattini/e/9788868683214