Cittadinanza attiva? Mah…

Tra le tante incombenze che gravano sugli insegnanti, dal settembre del 2020 si è aggiunto un nuovo insegnamento, trasversale a tutte le materie, che si chiama Educazione Civica. Per chi non è del mestiere chiarisco che con “insegnamento trasversale” si intende un insegnamento cui contribuiscono tutte le discipline, ognuna per le caratteristiche che le sono proprie. L’orario che gli istituti devono dedicare a questo insegnamento non deve essere inferiore a 33 ore per ciascun anno scolastico con la finalità di favorire la formazione di cittadini consapevoli dei propri diritti e in grado di comprendere le complesse dinamiche che caratterizzano la nostra società sia a livello locale che a livello planetario. Molti di voi ricorderanno, a tal proposito, che l’Educazione civica era un tempo inserita nella disciplina storica di cui faceva parte integrante. Ma siccome i tempi sono cambiati e, di tanto in tanto, bisogna dare all’esterno l’immagine di una scuola fortemente impegnata sul fronte della formazione dei cittadini, si è pensato bene di spalmare tale insegnamento su tutte le materie, con l’aggiunta di alate espressioni del tipo “cittadinanza attiva”. Qualcuno sostiene che anche questo può servire  alla formazione di una coscienza civile, e che va considerato solo un tassello in un quadro più ampio cui contribuisce tutta la società, e non solo la scuola. Anche volendo accogliere, come corretta, questa osservazione, rimane pur sempre una perplessità che riassumo sotto forma di domanda: quali sono gli altri tasselli? Infatti, se è vero che più che le parole declamate, valgono i fatti, diverse sono le considerazioni che si possono fare a questo proposito. Parlo, per cominciare, di un dato che salta subito agli occhi: le aule in cui molti alunni italiani sono obbligati a trascorrere le ore scolastiche, spesso non possiedono i requisiti che dovrebbero possedere gli ambienti che li accolgono, aspetto questo da sempre tenuto in grande considerazione dai pedagogisti. Intendo dire che se l’ambiente scolastico non è accogliente e non offre le minime garanzie di sicurezza e gradevolezza, qualunque bel discorso va a infrangersi contro una realtà ben diversa dai buoni propositi solo declamati. Personalmente posso affermare che obiezioni di questo tipo sono frequenti quando si discute di questi temi durante le lezioni. Per chi, comunque, ha ancora voglia di pensare, la pandemia in corso, insieme alla narrazione che la accompagna, offre notevoli spunti di riflessione sullo stato della nostra democrazia. Pare però che questo pericolo sia scongiurato grazie all’informazione che, perfettamente allineata alla  volontà dei padroni delle ferriere,  non lascia spazio a critiche di alcun tipo, essendo ormai invalsa la tendenza a criminalizzare e/o ridicolizzare qualunque forma di pensiero “altro”. La pandemia che avrebbe dovuto e potuto essere l’occasione per affrontare gli annosi problemi della scuola italiana, si è dimostrata la solita palestra di verbosità, tanto noiosa quanto irritante, di cui si pasce la politica italiana. E, quando si interviene, si sbaglia sempre bersaglio come, ad esempio, i tanti soldi spesi per i banchi con le rotelle che, salutati come un intervento di grande rilievo, si sono rivelati un vero e proprio bluff. Quasi sempre si cercano soluzioni a buon mercato che lasciano inalterate le situazioni che progressivamente  incancreniscono, rendendo le belle dichiarazioni di principio inutili esercizi di retorica. Se proprio si  vuole fare un bagno di realtà basta recarsi nelle periferie delle grandi città dove vivono molte famiglie, composte da capifamiglia che conoscono bene l’arte di arrangiarsi, raccogliendo, per esempio, cartoni o ferro e rame e altri metalli, mentre conoscono poco o nulla  della nostra Costituzione e dei diritti e doveri in essa contenuti. Persone come vuoti a perdere di una società che ha tradito i principi su cui si fonda la comunità civile, cittadini che spesso riconoscono come unica autorità il ras del quartiere che, terminale della catena mafiosa, dispensa lavoretti illegali o, peggio, offre come fonte di guadagno lo spaccio di stupefacenti. E i giovani di questi quartieri degradati che frequentano la scuola, ascoltano increduli gli insegnanti che parlano e parlano di diritti e di cittadinanza attiva, mentre altri loro coetanei ingrossano già  le fila dei dispersi. Sono le vittime della dispersione scolastica che la politica non è riuscita a tenere dentro le aule, contribuendo al degrado materiale e morale di interi quartieri. Con la soppressione e lo smantellamento di tutti quei servizi che avevano lo scopo di prolungare la permanenza a scuola, sottraendo tanti ragazzi alla criminalità organizzata, sempre bisognosa di manovalanza a buon mercato, si è favorito lo scollamento tra politica e cittadini. Quanta reale voglia c’è di invertire la rotta? A vedere le scelte di politica scolastica non è difficile rispondere. Si sarebbe dovuto e si dovrebbe, anziché inventare espressioni ad effetto come cittadinanza attiva, che lasciano immutate le realtà più difficili del nostro paese, cominciare col ridare fiducia alle famiglie e ai giovani con scuole pensate per “vivere” la democrazia, che non è una materia scolastica, ma la forma che assume la società quando rispetta i suoi componenti, dando loro dignità attraverso il lavoro e liberandoli dall’ignoranza.