di Roberto Botti Campionato di calcio di Serie A 1989-1990, il Napoli ospite allo stadio Renato Dall’Ara di Bologna si impone per 4 a 2. Mattatore un grande Careca e un grandissimo Diego Armando Maradona. Proprio col successo guadagnato in questa partita i napoletani conquistano il loro secondo scudetto. Troppo forti per il Bologna allora allenato da Gigi Maifredi. Ai tempi ero un giovane cronista che lottava contro la precarietà in un quotidiano come il Resto del Carlino, dopo anni di gavetta. Quella domenica tutti i cronisti eravamo davanti lo spogliatoio di Maradona. Ad attendere l’uscita del giocatore le maggiori testate giornalistiche sia della carta stampata sia dei media radiotelevisivi. Si apre la porticina di uno stanzino che assomigliava più a un camerino di un artista di teatro che ad uno spogliatoio di stadio e sbuca la faccia di Diego Armando Maradona. Un viso gonfio, si capiva, minato dal vizio. Ma questo non gli aveva impedito, pochi minuti prima, di giocare una partita straordinaria sul rettangolo dello stadio. Maradona osservò tutti colo ro che erano davanti a sé e si rivolse solo al sottoscritto dicendo: “Parlo solo con te”. Quell’intervista, che tutti i colleghi aspettavano di ricevere venne rilasciata soltanto al più sgangherato di tutti, il sottoscritto. Una volta dentro lo spogliatoio, dandomi del tu, mi disse solamente poche parole ma molto significative: “In Italia tutto m**, televisioni m**, Italia 1 m**, giornali m** “, e poi aggiunse: ” tutto marcio “. Insomma lo sfogo di un uomo che capiva che aveva poca vita nel nostro paese. Uscii da quello spogliatoio sotto lo sguardo attonito degli altri presenti che ancora una volta speravano di carpirmi la sintesi di quello che mi era appena stato detto. Quella volta non lo feci. Mi recai nel mio ufficio e scrissi il mio articolo senza dare nessuna informazione ai colleghi del giornale. La cosa non piacque molto, tanto che mi fu riservato solo un piccolo spazio in prima pagina. Dettai tutto ai dimafoni che allora, prima dell’avvento dei computer, era il mezzo più veloce per trasmettere un servizio. Dall’Olimpico risuonano ancora i fischi al momento dell’esecuzione dell’inno argentino. E quel “figli di puta” che Maradona diceva tra sé e sé quasi tra le lacrime! E Ricordiamoci il mondiale negli Stati Uniti quando, in una Argentina stellare con al centro dell’attacco Gabriel Batistuta, fu fermato per un controllo al doping… Quella cocaina era sicuramente un residuo di consumo precedente ma nel sangue girava ancora. Si sa che la cocaina non migliora le prestazioni in campo, anzi le peggiora. Quindi più che un controllo antidoping si sarebbe dovuto chiamare un controllo anti vizio. Ma nonostante questo il regime calcistico fu spietato. Maradona squalificato e Argentina eliminata di conseguenza. Questo non gli fu mai perdonato dal sistema del pallone. E probabilmente fu anche uno dei motivi che lo indussero via via a seguire quel percorso che l’ha portato prima a chiare prese di posizione politica e poi ad attaccare la supremazia mondiale degli Usa. Un ribelle che già allora poteva essere considerato un moderno “complottista”. Voglio ricordare una frase in uno splendido film degli anni ‘70, Rollerball: “Nessuno sportivo può essere più grande del gioco a cui partecipa”. Questa frase venne detta all”attore James Caan da un altro Blatter qualsiasi che governava, in quel film, uno sport violentissimo in cui l’obbligo era vincere o morire. E si può dire che Maradona al pallone ha dato la sua esistenza riuscendo a mettersi in competizione con tutto e tutti fino a risultare lui stesso il calcio. E come accade agli eroi dei poemi epici, cadde più volte e più volte riuscì a rialzarsi. Spesso alle corde, per essersi messo contro poteri superiori, ma con grande coraggio. Per questo bisognerà ricordarlo come un uomo, forse in apparenza velleitario ma che, oltre che con una palla, vincendo, ha saputo giocare con la realtà fuori dal campo. accettando anche di perdere. Foto Varesenoi