Con il suo linguaggio asciutto e profondo il cantautore Claudio Lolli ci ha lasciato dei testi molto poetici e al tempo stesso densi di rabbia. L’altra mattina, alzandomi, mi sono ritrovato nella testa (e a chi non è mai capitato), una sua canzone “Borghesia”, praticamente un affresco della mediocrità di una classe sociale che avrebbe forse potuto realizzare qualcosa di meglio rispetto a quanto ha fatto nel corso dei secoli e, in special modo, nel Novecento e in questo ventennio del terzo millennio. . Canticchiavo, dunque, la canzone, e giunto al verso in cui Lolli scrive “vecchia piccola borghesia”, al posto di borghesia intonavo “distopia”. Si era attivata un’associazione inedita, ma come tutte le associazioni, Freud docet, aveva una sua ragione. Siamo piombati senza accorgercene in una realtà distopica dalla quale non sappiamo come uscirne. Ma che c’entra la borghesia? Dalle magnifiche sorti e progressive siamo passati al destino cinico e baro, in cui in seguito a scelte scellerate non ostacolate da alcuno, siamo finiti in un cul de sac, un vicolo cieco in cui si fa un gran parlare di soluzioni più o meno a portata di mano, quando in realtà non si affronta il vero problema e, a quanto è dato vedere, non c’è neanche alcuna intenzione di affrontare: una riflessione seria e ponderata sul modello di sviluppo. Perché, dunque, distopia. Dal tempo delle utopie, ovvero del sogno di una società più giusta, siamo passati all’era in cui non solo abbiamo smesso di sognare, ma ci viene addirittura impedito, per la pericolosità insita in un’operazione del genere. Hai visto mai che la forza di un sogno possa giungere a mettere in discussione il mondo perfetto che, noi borghesi, abbiamo costruito?