Un anno in più

di Sergio Fanti Un anno in più. Un’altra volta si cambiano le agende, si è indecisi tra la settimanale e la giornaliera, tra i vari formati delle tascabili. Comprare un oggetto per avere l’illusione di controllare almeno la propria vita, il proprio tempo. Personalmente ho sempre ambito alla settimanale, ma ho sempre scelto la giornaliera perché mi dà spazio per alcuni dettagli che a volte è necessario accludere all’impegno in agenda. A volte, non sempre. Anzi raramente. Quindi accade che, per concedere spazio ad alcune sparute volte, mi sorbisco tutto l’anno un’agenda costellata di spazi vuoti, che mi fa perdere il senso della settimana, dell’insieme. Un anno in più da aggiungere numericamente alle date. So già che qualche volta mi sbaglierò, per un po’ di tempo potrà sfuggirmi qualche 2020 in calce ai fogli. Soprattutto adesso che i fogli sono sempre di più. Autocertificazioni in serie per entrare da qualche parte, e vorrei sapere che fine fanno queste quintalate di fogli e se qualcuno mai li consulterà. L’altro giorno sono stato all’Inps, due guardie mi hanno fatto fermare sul livello contrassegnato da due piedi disegnati sul pavimento, una delle due guardie si è messa a gambe larghe e tenendo il termometro con due mani me lo ha sparato in fronte, dopo di che mi hanno fatto igienizzare le mani e compilare un’autocertificazione con una biro che si passano tutti. Ognuno segue le proprie disposizioni, io mi sono disposto quella di sopravvivere alla girandola di disposizioni, evitando che mi indispongano. Un anno in più. Andrà tutto bene? Torneremo come prima? Saremo diversi? Saremo migliori? Il tarlo dell’ignoto attanaglia da sempre la mente degli uomini. Saremo più saggi? E ognuno di noi per sé si chiede: sto andando verso una plausibile maturità? E la maturità, qualora venisse raggiunta, sarà un approdo sicuro che mi consentirà di vedere tutto dall’alto, senza perdermi nei particolari delle visioni ottuse di chi cammina per le vie, o sarà invece lo spegnersi delle passioni e delle ambizioni? Cesare Pavese in quella raccolta di appunti che è “Il mestiere di vivere” scrisse tra le altre cose “Maturità è l’isolamento che basta a se stesso”, “Maturo è chi distingue tra sé e gli altri”. Sono frammenti di pensieri tipici di chi è geloso della propria indipendenza di pensiero, frasi che Pavese probabilmente oggi scriverebbe a profusione, oggi che tutto è incanalato in un unico pensiero obbligatorio, cioè in un “non-pensiero”. Parlo di Pavese perché lo lessi da ragazzo, e perché nel 2020 ricorrevano i 70 anni dalla morte: l’emergenza-Covid ci ha privato di qualche lettura commemorativa che ci sarebbe stata elargita. Il problema di cosa sia la maturità è eternamente interessante, forse oggi ancor di più, in quanto l’imperativo è crescere, sempre crescere, evolversi, cambiare, sempre, sempre e per sempre crescere, il pil deve crescere, noi dobbiamo stare al passo col progresso indefesso, dobbiamo essere attuali, europeisti, globalisti, progressisti, inclusivisti. Siamo soldatini caricati a molla che ripetono frasi fatte per fare bella figura in società, in una società che si sta disgregando e che chiamiamo eufemisticamente “liquida”. Ma poi, alla fine di tutto questo recitare, saremo stati felici? Mi affascina l’etimo delle parole: gli antichi Greci chiamavano la felicità “eudaumonia” cioè la realizzazione del proprio daimon, della propria natura. In questa corsa cieca, c’è sempre meno spazio per il tempo del pensiero e dell’introspezione, quel tempo che consentirebbe di individuare cosa c’è di nobile ed eccellente in noi. E mi affascina vedere come questi interrogativi ci siano sempre stati, anche in epoche lontane, quando indubbiamente la vita era meno frenetica, anche perché paradossalmente la mancanza di tecnica permetteva ritmi più sopportabili. Oggi sono in vena di citazioni, e allora ricordo il petrarchesco “ciò che piace al mondo è breve sogno”, e – concludendo sulla maturità – Shakespeare nel “Re Lear” dice “Gli uomini devono sopportare la loro uscita dal mondo come la loro venuta. La maturità è tutto”. Questa è un po’ la sintesi di tutta la nostra avventura umana. Dobbiamo prendere il bello e il brutto dell’epoca e del luogo in cui ci è dato nascere e vivere. Anche in questo 2021 appena cominciato. Un anno di più.

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foto tratta da articolo21.org