Acqua in bocca, anzi no, acqua in Borsa

Mondo della finanza e informazione non finiscono mai di stupirci! È passata infatti sotto silenzio La notizia forse più importante dell’anno, Covid19 permettendo: l’acqua per la prima volta è stata quotata in borsa. Eppure se giri e rigiri le pagine dei quotidiani o fai zapping fra i notiziari televisivi non trovi nulla o, se va bene, pochissimo. È in atto un dispositivo perfetto, degno delle migliori menti complottiste, per   evitare che si parli di uno dei frutti più  avvelenati del neoliberismo, il quale non contempla la benché minima possibilità che qualcosa possa sottrarsi al dio mercato. Il tutto grazie alla complicità del mondo dell’informazione che grida allo scandalo quando qualcuno, rischiando persino un TSO, osa criticare le scelte delle èlite economico-finanziarie, ma tace o parla con voce fioca quando vengono intaccati fondamentali diritti sociali ed umani, come quello al lavoro o alla salute. Gli studiosi di geopolitica da tempo hanno tracciato una mappa delle zone del pianeta interessate al fenomeno della scarsità idrica che, in seguito ai cambiamenti climatici, diverrà fra qualche decennio un problema planetario. Per esempio, in Medio Oriente, è ormai acclarato che la politica israeliana delle “colonie” si sviluppa in direzione del controllo dei territori più ricchi di fonti idriche. Siamo in presenza di un classico esempio di come le risorse del pianeta possono essere utilizzate come un’arma strategica, per cui possiamo affermare che, presto, alle guerre per l’approvvigionamento del petrolio si affiancheranno quelle per l’acqua. Quanti altri tabù il sistema neoliberista è pronto a infrangere ancora? Cosa significhi in soldoni questo ennesimo esproprio del bene comune per eccellenza è facilmente intuibile. La sua quotazione in borsa, nel mercato dei “futures” di Wall Street, comporta che verrà scambiata come qualunque altro bene e che, quindi, sarà soggetta alle logiche impietose del mercato con annesse speculazioni finanziarie. In verità questa notizia non dovrebbe poi stupirci più di tanto perché se andiamo a spulciare quanto accade nelle maggiori aziende che controllano il mercato dell’acqua nel nostro paese, si fanno interessanti scoperte. Per esempio, come riportano gli attivisti di “Acqua bene comune”, ACEA s.p.a ha realizzato negli ultimi due anni interessi per 110 mila euro derivanti da prestiti ad una sua controllata ACEA ATO 2 che gestisce le acque di Roma, i Castelli romani e Pomezia. A che titolo, allora i 150 e più milioni di conguaglio assegnati al gestore? Quale finalità se non quella di ingrossare il portafoglio dei soci? (A proposito, ma perché ACEA s.p.a. si comporta come una banca nei confronti di ACEA ATO 2?) Dunque, niente di nuovo sotto il sole! “Lento pede” ci siamo già avviati, senza speranze, fra le fauci ingorde della finanza e delle sue speculazioni. Siamo vittime, neanche tanto innocenti, del fenomeno della “rana bollita”; la rana, infatti, lentamente, da un iniziale senso di benessere dovuto al torpore dell’acqua tiepida, si ritrova, alla fine, bollita. Solo che, “ça va sans dire”, la rana bollita siamo noi!