Pare che lo “smart working” sia considerato una specie di benedizione soprattutto dalle donne madri, lavoratrici e mogli.
La questione ruota attorno alla possibilità che si apre alle donne di gestire al meglio il proprio tempo, dovendo esse assolvere a diversi compiti sia in casa che fuori di casa, compiti ai quali molti mariti, padri e lavoratori continuano sottrarsi.
Per fortuna la situazione pare essere migliorata negli ultimi decenni, ma siamo ancora lontani da un pieno coinvolgimento dell’uomo nella crescita dei figli e nelle faccende familiari, attività ritenute appannaggio esclusivo della donna, soprattutto nei paesi latini. E, deliberatamente, evito di entrare nel merito di quella scellerata convinzione per cui dietro un uomo di successo c’è sempre una donna!
La mia perplessità intorno a questa che viene considerata da più parti come manna dal cielo, deriva dalla preoccupazione che, quando si prospettano delle soluzioni a problemi sociali le prime ad essere prese in considerazione sono quelle che, più o meno consapevolmente, rafforzano il sistema di potere maschile e ne garantiscono la sopravvivenza. Perché, qualcuno si chiede giustamente, si tralascia di prendere in considerazione alternative che potrebbero rappresentare un’occasione per invertire la rotta ed accrescere le opportunità di liberazione dal perfetto giogo ideato da un modello sociale e politico-economico che spinge gli esseri umani ad isolarsi?
L’esempio dello “smart working” è paradigmatico. L’illusione che, grazie a questa tecnologia applicata al lavoro, la gestione della propria vita sia facilitata e che dunque si sia trovata la strada maestra per consentire alla donna di essere più libera, è la conferma che ci troviamo di fronte all’ennesimo successo dell’ideologia neoliberista e non già, come qualcuno crede, ad una conquista delle donne.
Si discute, perlopiù, dei vantaggi o degli svantaggi di questa o quella tecnologia, ma si è persa la visione politica dei problemi. Si è scartata ormai, a priori, l’idea che il privato è politico, che il rinchiudersi in formule individualistiche è il più grande sostegno ad una ideologia che cerca in tutti i modi di isolarci e di renderci atomi o, peggio ancora, monadi, incapaci di prospettare soluzioni di tipo collettivo come la richiesta di più asili nido, di più interventi a sostegno delle famiglie, di investimenti nel sociale e di una scuola al servizio della comunità.
Il sistema neoliberista ha così ottenuto una vittoria su tutti i fronti, condizionando le nostre valutazioni al punto da farci credere che le soluzioni da esso proposte rispondano ai nostri reali bisogni.
La visione prospettata dall’universo femminile ancora una volta delude e si appiattisce su posizioni che tendono a confermare l’esistente, senza slanci e senza progetti tesi a realizzare un mondo a misura di donna e di uomo. Eppure il dibattito all’interno dell’arcipelago “femminista” è abbastanza acceso su questi temi, e molte voci si sono levate per mettere in luce la “connivenza” fra ideologia neoliberista e movimento per la liberazione delle donne (e anche dell’uomo). Ecco perché ho trovato illuminante una riflessione di Nancy Fraser, che riporto a chiusura del presente articolo, la quale ha messo in luce come “quasi fosse un crudele scherzo del destino, il movimento per la liberazione delle donne sembra essersi avviluppato in una relazione pericolosa con gli sforzi neoliberisti nel costruire la società del libero mercato. Questo potrebbe spiegare perché una serie di idee femministe, che un tempo facevano parte di una visione del mondo radicale, oggi vengono utilizzate a fini individualistici”.