Le interviste di Marta Lock: Daniela Patriarca, racconti e ricordi nel suo secondo romanzo

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Abbiamo conosciuto questa brava autrice in occasione dell’ultimo romanzo, ora vogliamo scoprire il suo mondo autoriale anche attraverso il secondo lavoro, Il giorno che Viola vide il mare, una storia che ne racchiude molte di più, in cui ogni personaggio si lega indissolubilmente ad altri così come al proprio destino familiare che da un lato sembra non poter essere cambiato ma dall’altro le protagoniste principali combattono e agiscono proprio per far sì che si verifichi quella modificazione che permetterà loro di dar vita a una narrazione differente, a scegliere la vita che desiderano. Anche in questo libro, come nel precedente, emerge il valore che Daniela Patriarca attribuisce alle tradizioni, alla saggezza delle persone anziane e alle memorie del passato che si confrontano con il presente, certamente diverso eppure affine perché in fondo è proprio da quel passato, e grazie a esso, che si è costruito un nuovo domani distaccandosi da ciò che era troppo al di fuori del tempo moderno ma anche trattenendo quei valori imprescindibili sulla base dei quali fondare il cammino. Melina, giovane, ingenua e affascinata dai racconti di tutte le persone adulte che ruotano nella sua vita, sembra essere una raccoglitrice di storie, come se le fossero indispensabili per la conoscenza e per la crescita, come se il bagaglio emotivo degli altri divenisse un tesoro inestimabile anche per la sua evoluzione, un esempio da tenere presente nel progredire. Al contempo analizza la sua famiglia, il rapporto tra i genitori e gli eventi che si susseguono lenti e ripetitivi e decide cosa non vuole che accada nel suo rapporto sentimentale, forse con quel Nuccio di cui è segretamente innamorata e di cui non riesce a comprendere quali sentimenti nutra nei suoi confronti, né tanto meno nel suo futuro perché lei, a differenza della madre, vuole studiare e trovare un lavoro che le permetta di essere autonoma, fare delle scelte, avere il coraggio di essere a sua volta un sostegno per quello che sarà il suo compagno di vita. Parallelamente c’è Costanza, una donna adulta, bellissima, una vera signora che Melina ammira, la quale diventa coprotagonista del romanzo narrando al lettore la propria vita, i propri segreti, il dolore che porta dentro a causa dell’abbandono della madre e che ne ha segnato la crescita e l’intera esistenza; racconta della rinuncia d’amore che ha compiuto per compiacere il padre lacerato dalla perdita dell’amata moglie e dell’uomo che ha scelto di sposare, un buon compagno nonostante la consapevolezza di non essere amato, e svela le riflessioni che nel corso del tempo l’hanno condotta alla decisione finale. Tutto questo Costanza non lo racconta a Melina, perché alcuni segreti vanno mantenuti, appartengono al mondo più intimo e sono in qualche modo avvolti dai sensi di colpa perciò non potrebbero mai costituire un esempio da seguire, un’eredità da lasciare ai più giovani. Su quest’alternanza di protagoniste e sul parallelismo tra passato e presente, si snoda l’intero romanzo, un affascinante percorso all’interno dell’Italia del secolo scorso, quando tutto era ancora da conquistare, quando il paese si era ripreso dal secondo conflitto e viveva il boom economico degli anni Sessanta ma non si era ancora emancipato completamente. Ci si perde in quelle pagine attraverso le quali si scopre un tempo non molto lontano in cui però il modo di vivere e le differenze con la contemporaneità sono molteplici e profonde, tanto da avere la sensazione di guardare un film in bianco e nero da cui però non si può fare a meno di sentirsi coinvolti perché in fondo vicino alla nostra memoria storica, ai racconti dei nonni e a quelle abitudini sociali arcaiche ma tuttavia familiari. Approfondiamo ora le tematiche del libro con l’autrice.

Il suo secondo romanzo è, come il terzo, ambientato in una località indefinita del Sud Italia, perché questa scelta?

I motivi sono molteplici. Per prima cosa i luoghi del Sud mi hanno sempre affascinato, li conosco bene e quindi mi viene naturale collocare le storie in posti che, per me, celano qualcosa di magico e di propizio ai racconti. Poi le mie radici da parte materna affondano in tre regioni meridionali: la Sicilia, la Calabria e la Puglia e quindi, in qualche modo, riaffiorano nella narrazione. Ho anche sposato un pugliese: tutto torna alla fine. Roma è la mia città natale e quella di mio padre, dove ho studiato, insegnato, dove vivo abitualmente, oltre ad andare spesso a Martina Franca, in Puglia, luogo natale di mio marito e dove, come in molti altri posti del Sud, mi sento a casa.

Quanto contano le tradizioni, i ricordi, i racconti delle persone anziane, nella vita di ciascuno di noi e quanto potremmo portarle come esempio e modello nell’esistenza attuale?

Sono fondamentali. Io ho avuto la fortuna, sin dall’infanzia, di avere accanto persone che mi hanno raccontato storie, non solo fiabe, ma anche episodi della loro vita quotidiana: da mia nonna, nata e cresciuta negli Stati Uniti, a mia madre, anche lei nata negli USA, per finire a zie e tate e tutte narravano le storie del periodo della guerra, della loro gioventù, delle storie familiari, anche molto lontane nel tempo, tramandate di generazione in generazione. Conoscere il passato apre una porta verso il futuro. Come dice Moni Ovadia: “La memoria serve per il presente e il futuro. Riflettete: se vi cancellassero la memoria e vi domandassero chi siete, non sareste in grado di rispondere”. La memoria degli anziani è necessaria come le radici per una pianta. Non a caso il rapporto fra la nonna Carmela e Melina è un rapporto fatto di gesti teneri e soprattutto di parole. Negli anni Sessanta questo tramandarsi i racconti da una generazione all’altra era ancora possibile, mentre nell’epoca contemporanea sembra essere meno presente. Eppure per la mia esperienza di insegnante posso dire che se gli adulti trovassero il modo e il tempo per narrare storie, anche quelle familiari, troverebbero ascolto perché in fondo i bambini e gli adolescenti aspettano solo che qualcuno lo faccia.

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Melina è una ragazza curiosa e affamata di storie e di rivelazioni da parte degli adulti che appartengono al suo quotidiano, al contrario Costanza sembra essere una donna integra e al contempo schiva, distante dalle chiacchiere di paese e concentrata solo sul proprio vissuto. In quale dei due personaggi si identifica di più?

Sicuramente in Melina per la sua grande passione per la lettura che è stata da sempre anche la mia – i libri della Biblioteca dei miei ragazzi della casa editrice Salani, citati nel romanzo, sono passati di mano in mano ai giovani della mia famiglia -, per il desiderio ancora embrionale di essere in futuro una donna indipendente, non soggetta alle autorità di stampo patriarcale. Melina intuisce per istinto che la cultura, il romanzo non a caso parla anche di libri, e la conoscenza possono portarla lontano e, pur se profondamente legata alle sue radici, sa che può diventare una persona forte, che può vedere il mare arrivandoci con le proprie forze. In Melina, in Nuccio, il suo amico del cuore che va alle riunioni della Fgci, sono presenti quelli che saranno i segni distintivi di una generazione, quella che comunemente viene definita dei sessantottini, che è poi quella a cui sono appartenuta io. Costanza invece è alla ricerca di una verità non detta e sarà proprio la presenza di Melina, i suoi dubbi e le sue ansie adolescenziali a ridestare in lei il desiderio di sapere, di conoscere tutto sulla madre, di svegliarsi da un lungo sonno, come la Rosaspina della fiaba, ma senza l’aiuto di un Principe Azzurro. Adolescenza ed età adulta si incontrano e portano alla consapevolezza. Costanza è per Melina la sua dodicesima fata, ma in realtà accade anche il contrario. Melina e Costanza sono diverse per età, condizione sociale, eppure le loro vite si intrecciano, si sovrappongono, si dividono. Sono unite da una comune volontà di raccontare la loro vita e dare voce alle storie di chi le ha precedute.

Il finale del romanzo sembra quasi essere sospeso, aperto a un prosieguo perché entrambe le protagoniste stanno per affrontare un’evoluzione generate dalle loro scelte: ha in programma di scrivere un sequel?

Al momento no. Mi era stato chiesto anche per il primo romanzo “Il giorno delle mie notti dorme con te”, ma è proprio la sospensione di quello che in seguito accadrà ai personaggi, quali strade prenderanno, a far parte del modo in cui interpreto io la scrittura. Un po’ come per la vita che non sappiamo cosa ci risevi e possiamo immaginare che certe scelte ci condurranno da una parte piuttosto che da un’altra. Del resto, non a caso, in questo romanzo le storie dei protagonisti si intrecciano con quelle di personaggi minori che, comunque, sono fondamentali e accompagnano il cammino delle protagoniste. Come accade nella vita di tutti i giorni. Quelle conoscenze, quelle esperienze suggeriscono scelte, percorsi, nuove concezioni. Diciamo che il futuro di Melina e Costanza è adombrato nella visione che ha proprio Costanza seduta al tavolo di un caffè guardando l’Ara Coeli, a Roma, dove tutto si ricompone e dove le protagoniste sembrano finalmente aver trovato la strada che porta a vedere il mare come nella fiaba raccontata a due voci da Melina e nonna Carmela.

Titolo: Il giorno che viola vide il mare

Autore: Daniela Patriarca

Editore: La Conchiglia

Anno: 2012

Pagine: 216

Per acquistare il libro:

https://www.ibs.it/giorno-che-viola-vide-mare-libro-daniela-patriarca/e/9788860910394