(di Sergio Fanti)
Spesso, quando mi viene posta una domanda retorica, o una domanda nella quale percepisco una chiara intenzione di instradare il discorso che si sta facendo, io rispondo “dimmi qual è la risposta giusta”. Lo dico per scherzo, ma non completamente per scherzo. Piuttosto che sentirmi intrappolato in una risposta “sbagliata” per l’interlocutore, ed essere così preda delle sue argomentazioni vessatorie nei miei confronti, io chiedo direttamente “dimmi qual è la risposta giusta e io te la produco”. Per evitare insomma dedali infiniti che non portano a nulla, perché l’interlocutore ha già deciso quale dev’essere il prosieguo dell’argomentazione.
Emblematico di ciò è quando il marito annaspa nell’esprimere un parere che gli viene richiesto: sa che se sbaglia la risposta (ad una domanda che spesso non ha capito e di cui non comprende la ragione) parte un insieme di entità punitive.
Mi sembra che la stessa cosa stia accadendo nella politica italiana. Si mandano gli Italiani al voto, nella speranza che esprimano la “risposta giusta”. Se invece si esprimono male, occorre correggere quanto hanno risposto, e instradare le nuove soluzioni verso la strada maestra della rettitudine. I fatti sono difficilmente controvertibili: l’ultimo governo “figlio delle urne” è stato partorito nel 2008. Da ben 12 anni siamo governati da tecnici o da rimaneggiamenti.
Comincia a diventare grottesco chiamare il nostro ordinamento “democrazia popolare”, quando il popolo viene ogni volta corretto nei suoi errori di valutazione e mandato in castigo dietro la lavagna.
Siccome il mio sincero auspicio è che si possa vivere e convivere tutti serenamente perseguendo le bellezze della vita, per me un ordinamento vale un altro, purché si raggiunga lo scopo di una vita gratificante per tutti. Per cui non sono un fanatico della democrazia popolare ad ogni costo. Mi dà però fastidio vedere il costante inganno, mi dà fastidio vedere che in una democrazia popolare chi conta meno è proprio il popolo. Il popolo, ovviamente, non è fatto solo di trilaureati nelle maggiori università; il popolo è fatto per la stragrande maggioranza di gente che fatica tutto il giorno senza capire bene perché, e che vota per tradizione di famiglia, per ragioni di pancia, per simpatia verso l’uno o per antipatia e oscuro rancore verso l’altro.
E’ normale che in questo guazzabuglio anche i sondaggi possano sbagliare. L’irrazionale svolge una parte importante, come quando sul pareggio si sbaglia un rigore al 90°. Infatti, immediatamente prima del voto, cala il silenzio elettorale: nessun politico può parlare, per far sì che il popolo possa sedimentare quanto ascoltato, ed evitare che l’irrazionale propulso dagli ultimi eventuali slogan “fuori tempo massimo” possa risultare determinante.
Se il popolo vota bene, si può applicare la volontà espressa dagli elettori. Se invece questi si esprimono malamente, occorre revisionare e rimaneggiare il tutto. Ecco il perché del termine “democratura”: un regime politico formalmente democratico, ma con caratteristiche proprie di una dittatura. I diritti costituzionali ci sono, ma vengono fortemente ridotti. E’ la nostra storia recente. C’è da dire che la democratura è un’opera di grande ingegno psicologico, in cui il popolo stesso viene portato a darsi la zappa sui piedi da solo, come è accaduto nel recente referendum sul numero dei parlamentari, il cui esito sta producendo la paralisi dei normali flussi democratici. Infatti, in quel referendum il parere del popolo è stato ben considerato. Era la “risposta giusta”.
Essendo condannato a stare tra i sudditi, amerei solo una maggiore trasparenza, pur guardando con profonda ammirazione l’inganno di chi ci fa litigare tra di noi e ci porta a “pensare autonomamente” quanto ci viene imposto. Mi piacerebbe che venisse detto a chiare lettere: “il popolo è inascoltabile, non si vota più, fidatevi di pochi illuminati e tutto andrà meglio”, piuttosto che farci oscillare costantemente tra illusione e frustrazione.
Ma lo dico da suddito. Appena metto in moto il cervello e lo spirito di osservazione, sono ammirato dalle modalità con le quali veniamo ingannati. Quando l’avversario è intelligente, sono volentieri disposto a perdere pur di poter osservare il suo gioco.
(illustrazione tratta da robadadonne.it)