C’è un libro molto interessante dal titolo “Draghi locopei” che è il frutto di una straordinaria esperienza di una geniale maestra, Ersilia Zamponi, che ha lavorato con i bambini per sviluppare in loro il piacere di giocare con le parole e con la lingua italiana. Infatti, il fantasioso titolo altro non è che l’anagramma di “giochi di parole”. Questa esperienza rappresenta un ottimo esempio di quello che si può fare a scuola, solo che questo lavoro sia vissuto con passione. Quando ciò avviene si aprono scenari inediti che vanno nella direzione giusta ovvero quella di intercettare i reali bisogni di chi deve apprendere.
Il titolo, per me che da cinquant’anni seguo la politica, non poteva non evocare altri tipi di Draghi, e soprattutto i giochi di parole usati nel linguaggio politico.
Perché, ahinoi!, i giochi di parole, quando si diventa adulti, possono diventare pericolosi perché, a volte, ammantano sì la realtà di grande fascino, ma anziché disvelare nuovi mondi, occultano il reale stato delle cose.
Prendiamo per esempio l’espressione “nell’interesse del paese” gioco di parole con cui si giustifica e legittima la necessità di riforme strutturali, prima fra tutte quella che riguarda il mondo del lavoro. Perché ho capito che il problema in Italia non è la mancanza di lavoro ma i lacci e i lacciuoli che impediscono agli imprenditori di licenziare, promettendo in cambio chissà quali meccanismi compensativi. ( Si vedano in proposito le “tutele progressive” presenti nel famigerato Jobs Act).
È chiaro che la maggiore preoccupazione per il prof. Draghi è quella di non scontentare i suoi referenti, facilmente individuabili solo che si vada a guardare il suo curriculum, ovvero gli esponenti e gli adoratori del sistema neoliberista di cui egli rappresenta, oggi, la punta di diamante o, se volete, l’ariete.
Per quanto riguarda il nemico di classe (scusate, ma questa espressione non è stata usata da un marxista ma da uno dei miliardari più ricchi al mondo, tale W. Buffet) poi, il nostro SuperMario non credo che si ponga particolari problemi, visto che il capitalismo e il suo fratello maggiore, il finanzcapitalismo, azzeccato termine coniato dal volutamente dimenticato L. Gallino, è riuscito nel doppio capolavoro, di convincere il nemico di classe che l’ideologia neoliberista difende anche i suoi interessi, e di avere spazzato via, non senza complicità, quello che restava dei partiti nati per difendere i lavoratori.
L’immagine che mi ha evocato l’attuale situazione politica è quella del padrone che tiene il proprio cane al guinzaglio, con il filo che arriva fin laddove il padrone decide. Va da sé che il padrone, anzi il “dominus”, in questione, è il prof. Draghi e i cagnolini i partiti politici che non vogliono perdere anche questa occasione per dimostrare la loro maturità politica e di essere al “servizio del paese”, altro gioco di parole in cui non è per nulla chiaro né il significato di servizio, né tantomeno quello di paese.
Infatti, per la lunga esperienza maturata come cittadino appassionato di politica, sono abbastanza certo che il “salvatore della patria” (anche questo un riuscitissimo gioco di parole), avendo in mano il guinzaglio, consentirà ai vari partiti di arrivare fin dove lui deciderà. Sono così tanti i problemi sul tappeto che, a guardare con occhio scevro da pregiudizi, sembrerebbe impossibile riuscire a mettere d’accordo partiti politici apparentemente così distanti fra loro, ma a questo hanno posto rimedio gli stessi partiti che hanno immediatamente risposto al richiamo della voce del padrone e sono diventati in un attimo, chi europeista dopo essere stato tenacemente rinchiuso nella sua Padania, chi, come una novella D.C., ha scoperto l’arte del compromesso al ribasso, dopo avere promesso di aprire il Parlamento come una scatola di sardine. Va da sé che la stampa “libera” ha salutato con giubilo e comprensibile orgasmo questi contorsionismi, spendendosi in lodi sperticate.
Ma, e qui chiedo l’aiuto di chi mi legge, quello di cui stiamo parlando è forse lo stesso Mario Draghi teorico del “pilota automatico”?
Chissà perché l’informazione non ricorda mai questo “piccolo dettaglio” e continua al contrario a riempirci la testa con quel “whatever it takes” che, a conti fatti, non ha modificato di una virgola le politiche economiche e finanziarie dell’Europa, sortendo l’unico effetto di tenere in vita l’UE, ad uso e consumo dei paesi virtuosi, mentre continua a mandare all’inferno quei paesi che, pur con tutte le responsabilità che vanno loro addebitate, non vogliono sottomettersi alle regole del gioco neoliberista. La finzione raggiunge il massimo nel momento in cui, con un abile gioco di prestigio, vengono adottati strumenti di intervento che a prima vista sembrano senza condizionalità, ma che poi ad una lettura attenta mostrano tutti i loro limiti che poi sono quelli che rispondono alla regola non scritta che, in questa Europa, “nessuno regala nulla a nessuno”.
Se a ciò aggiungiamo il “politicamente corretto”, utile solo ad impedire che le cose vengano chiamate col loro nome, come chessò chiamare imprenditore anziché padrone uno che ti detta anche i tempi per espletare le tue funzioni fisiologiche, ecco che il gioco di parole è perfettamente riuscito.