Le interviste di Marta Lock: Andrea Salvati, “Mio padre, poeta di colori e forme”

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Paolo Salvati è stato un grande artista del Novecento, decisamente fuori dagli schemi al punto di non essere inserito nei circuiti importanti dell’epoca proprio in virtù del suo stile indefinibile, difficilmente catalogabile all’interno degli schemi appartenenti al secolo scorso, spesso resistenti a quelle innovazioni che oltrepassavano i confini e davano vita a un messaggio espressivo differente, nuovo. L’Espressionismo è certamente il movimento a cui si avvicina di più la produzione artistica di Paolo Salvati, se si prende come riferimento più l’accezione francese del movimento piuttosto che quella tedesca o del Nord Europa, proprio perché pur essendo la gamma cromatica discostante da quella visibile nella realtà, non trapela angoscia, irrequietezza, ansia e disagio nelle sue tele, piuttosto un’osservazione serena e pacata di tutto ciò che gli ruotava intorno e che entrava in connessione con le sue corde interiori. Tuttavia la predilezione spiccata nei confronti di paesaggi incontaminati e silenziosi, spesso mancanti della presenza umana, così come la singolare capacità di catturare la luce e l’impressione di un attimo irripetibile, la delicatezza con cui poggiava lo sguardo sulle immagini, che fossero realmente davanti a lui o appartenessero ai luoghi della memoria, lo avvicinano anche allo stile Impressionista. Osservare tele come Albero Blu o Pietra Blu,

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Pietra Blu

equivale a effettuare un percorso lirico all’interno del mondo di Paolo Salvati, del suo pacato approccio alla vita che non può che trascinare l’osservatore toccandone le corde più intime, silenziose, sensibili, proprio in virtù della capacità dell’artista di avvolgere senza invadere, di sussurrare senza gridare, di esprimere in maniera chiara e limpida le proprie emozioni senza essere eccessivamente impositivo o travolgente. È in questo equilibrio che si nasconde la grandezza di un artista che ha preferito essere una voce fuori dal coro, perseguendo la propria indole creativa, la propria naturale inclinazione che lo ha condotto a essere un narratore di sensazioni positive, di esortazione alla resilienza, a resistere alle avversità e a oltrepassarle senza mai perdere la fiducia che ogni cosa possa avere un risvolto migliore. Il suo percorso di vita lo ha fatto cadere per poi rialzarsi, dandogli il coraggio di perseguire scelte difficili ma anche necessarie per consentirgli di vivere il suo sogno, quello artistico, malgrado gli ostacoli. E alla fine, come tutti i coraggiosi, ha vinto perché le sue opere sono attualmente quotate in asta, grazie al lavoro di valorizzazione del suo percorso che stanno effettuando gli eredi costituendo un archivio storico e un’associazione grazie alla quale continuare a diffondere e promuovere non solo le meravigliose opere di Paolo Salvati, ed è stato anche l’unico artista a vedere una propria opera, un ritratto dal titolo Isabò, impressa sul muso di una Ferrari, la F430.

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Ferrari F30

Il 22 febbraio è l’anniversario della sua nascita e dunque mi è sembrato doveroso dedicargli spazio nella mia rubrica attraverso le parole e i ricordi del figlio, Andrea Salvati.

Com’è nato il percorso artistico di suo padre e cosa significava per lui fare arte?

L’arte era la vita quotidiana per Paolo Salvati e tramite essa si relazionava agli altri. Grazie a questo profondo amore per l’arte e la cultura ha potuto affrontare e superare, sempre con animo saldo e sereno, le numerose difficoltà, anche familiari, non scevre da pene e cocenti rinunce. Intorno agli anni Cinquanta del Novecento scopre la sua naturale inclinazione verso il disegno e la pittura, poi lentamente maturò un passaggio alla pittura durante i difficili anni in Sardegna, intorno agli anni Sessanta. È stato proprio il periodo vissuto nell’isola a ispirargli il tema dell’albero solitario, tra cui l’apprezzato Albero Blu. L’esperienza in Sardegna fu un giro di boa fondamentale nella sua vita, quello dopo il quale tutto cambiò: nel 1973 mio padre subì un tracollo finanziario, dovuto al mancato pagamento di un grosso lavoro commissionatogli in Sardegna da un imprenditore locale. Decise di vendere tutto quello che possedeva, pagò i suoi operai, e una sera di ottobre, grazie al decisivo intervento della moglie Elettra, caricò la sua Fiat 850 e si imbarcò con la famiglia a Olbia su un traghetto per Civitavecchia tornando definitivamente a Roma. Nell’arte trovò inizialmente una consolazione alle vicissitudini e alla delusione subita, poi la salvezza realizzando la significativa Pietra Blu (olio su tela, 1973), un dipinto con una grande pietra centrale di colore blu che è una metafora di quel percorso intenso, difficile, obbligato, senza strade alternative.

Suo padre non ha avuto una formazione accademica ma questo non gli ha impedito di scegliere il difficile percorso di vivere d’arte. Ci racconta quanto questa scelta ha influito sulle vite della famiglia?

Mio padre riteneva che una formazione tradizionale potesse essere un arricchimento culturale ma era, altresì, convinto dell’importanza di quella innata genialità che, nei secoli passati, caratterizzò i Maestri della storia dell’arte; di certo non tutti frequentarono accademie e università. Sosteneva fortemente che la creatività è una questione di talento, se non c’è nessuna formazione accademica sarà mai in grado di permettere di raggiungere espressioni artistiche di alto livello. Lui basava la sua pittura sulla creazione e la costruzione, elementi fondamentali dell’atto artistico: la creazione scaturiva dal genio creativo e la costruzione consisteva nel duro e faticoso lavoro per dare forma all’intuizione creativa. In merito alla sua scelta di vita, dopo il fallimento dell’esperienza lavorativa in Sardegna, con l’arte difficilmente si vive, a maggior ragione nel Novecento dove era necessario appartenere a un genere specifico o a un movimento artistico per trovare spazio, cosa a cui mio padre ha sempre rifiutato di adeguarsi.

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Fronde rosse

La sua decisione di dedicarsi esclusivamente alla pittura nonostante avesse già una famiglia di cui prendersi cura, fu un atto coraggioso ispirato da una grande fede e fiducia nel prossimo. Tuttavia il suo carattere fiducioso e ingenuo lo costrinse a subire inganni che però mai compromisero il sereno svolgimento del quotidiano. Lo ricordo inquieto e concentrato per garantire alla famiglia il necessario senza mai sfociare in quelli che lui definiva inutili isterismi. Perciò io, mia sorella e mia madre, lo abbiamo sempre sostenuto e ammirato, come uomo e come artista, per il coraggio e per la determinazione nel voler continuare a inseguire il suo sogno; oggi io e mia sorella stiamo costituendo una fondazione per diffondere e storicizzare il suo percorso artistico.

Lo stile di Paolo Salvati è molto particolare, tenue e poetico e al tempo stesso di forte impatto: come definirebbe il suo genere pittorico?

Standogli vicino ho potuto sentire sia lui che mi elencava i suoi amori artistici sia quanto affermavano riguardo la sua pittura amici e conoscenti, conoscitori d’arte. Così ho maturato l’idea che la sua pittura ha prevalentemente un carattere espressionista, più vicina a quella degli espressionisti francesi piuttosto che a quella degli espressionisti tedeschi. Ciò credo si possa percepire osservando insieme Albero blu

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Albero blu

e un dipinto di un pittore fauves. In merito alla forza lirica della sua pittura è innegabile perché nella sua intenzione espressiva cercava di trasmettere serenità e richiamare a una vita semplice in cui si dialoga, ci si incontra in modo fraterno. Nei suoi dipinti i colori non sono cupi o terrei ma chiari, luminosi vivaci, da ciò si desume la sua ricerca di pace interiore di cui successivamente beneficia chi ammira uno di questi dipinti. Il colore è indubbiamente protagonista delle opere, colore di cui ricercava costantemente la perfetta sfumatura anche attraverso continui ripensamenti, a volte arrivava addirittura a cambiare completamente la tonalità, ma anche la ricerca di una giusta forma era per lui importante che modificava finché non riusciva a trovarne una completamente soddisfacente. Chi lo ha visto dipingere Albero Blu mi ha raccontato che l’andamento dei rami spogli è stato oggetto di numerosi ripensamenti.

C’è qualche artista a cui si è ispirato nel corso della sua carriera artistica?

Dai miei ricordi i grandi pittori, appartenenti a diversi periodi, che amava sono: Lorrain, Poussin, Turner, Lautrec e particolarmente Monet, Van Gogh, Munch, Matisse e Guttuso. Forse ne ho dimenticato qualcuno, di certo lo ho visto sempre studiare con attenzione i grandi pittori. Credo che alcuni siano più vicini a lui e che maggiormente lo abbiano influenzato ma ritengo pure che sia riuscito ad assimilarli e filtrarli per giungere a una sua particolare forma espressiva. Mio padre voleva e doveva conoscere, quindi studiava le avanguardie artistiche del Ventesimo secolo, anche quelle molto distanti dalla sua concezione della pittura come il Dadaismo. Le avanguardie più vicine a lui sono di sicuro quelle della fine del Diciannovesimo secolo, mi riferisco all’Impressionismo e all’Espressionismo. Mio padre ha sempre attinto idee e spunti da ogni movimento artistico del recente passato perché partica dal concetto che un’ispirazione può provenire anche da un artista che non rientra tra quelli a cui si sentiva affine, ma sicuramente la sua attenzione era rivolta maggiormente ad artisti figurativi come Monet e Van Gogh.

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Settembre

PAOLO SALVATI

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