Una delle conseguenze più nefaste della diffusione dei social è la riduzione manichea del mondo: like o dislike. Tertium non datur. Mai una sfumatura, mai un distinguo. Ed allora può succedere che se sei contro questa Europa, e sei in compagnia di gente poco raccomandabile, in automatico vieni intruppato in un esercito in cui non vorresti mai militare.
L’utilità di una simile operazione è presto detta: dividendo in maniera netta le posizioni in campo e criminalizzando il pensiero non allineato diventa più semplice tacitare qualunque tipo di dissenso, perché una volta identificato un nemico non hai più bisogno di argomentare: o di qua o di là.
In occasione del referendum sulla riforma della nostra Costituzione, per esempio, accadde che Zagrebelsky, noto e stimato costituzionalista, si era ritrovato a fianco della sua battaglia per il “no”, tale Matteo Salvini, noto uomo politico. Nessuno pensò che Zagrebelsky fosse ideologicamente legato alla Lega.
Eppure anche la politica ha subito il fascino perverso dei social, tant’è che persino il presidente degli USA, come tanti politici, utilizza Twitter per parlare al suo paese.
Questa è la conseguenza del vuoto di contenuti (e ce ne sarebbero di contenuti!) e della povertà di linguaggio che caratterizza da un po’ di tempo la politica. Ma anche questo trova una sua spiegazione. Infatti, analisi neanche particolarmente complesse, difficilmente potrebbero essere comprensibili da una platea poco avvezza ad argomentare, platea deliberatamente tenuta in condizioni di minorità da un modello culturale che, anziché privilegiare il pensiero critico, continua imperterrito a plasmare le coscienze attraverso un’informazione mainstream a reti unificate, l’arma perfetta per alimentare il pensiero unico. (Quello che dovrebbe essere l’ultimo baluardo del pensiero critico, la scuola, non pare abbia tanta voglia di fare la sua parte, soprattutto se andiamo a vedere le riforme degli ultimi anni).
La rete, che a molti era parsa fin dalla sua apparizione lo strumento che avrebbe consentito una maggiore partecipazione dei cittadini alla vita politica si è invece rivelata, soprattutto attraverso i social, il veicolo migliore per dare l’illusione della partecipazione, essendo ormai chiaro che il luogo delle decisioni politiche non sono più i Parlamenti nazionali ma i vari club Bilderberg e la grande finanza, di cui, purtroppo, oggi l’Europa e le sue istituzioni rappresentano il braccio armato.
La manipolazione della volontà popolare è l’ultima spiaggia dei poteri forti che, quando non riescono ad ottenere il risultato sperato, ricorrono al suo svuotamento, come accaduto nel nostro paese in occasione del referendum sull’acqua pubblica.
E l’Europa? Si può essere europeisti e contestarne l’attuale costruzione? Temo di no.
Infatti, accade che sempre più spesso si venga attaccati per le posizioni critiche nei confronti di questa Europa, le cui ragioni niente hanno a che fare con ideologie nazionaliste o, peggio ancora, di chiusura nei confronti di altri popoli e culture.
Alla base della querelle ci sta il fraintendimento sulla nozione di “sovranità”, solennemente riconosciuta nel primo articolo della nostra Costituzione.
Ai fini di una corretta valutazione della questione è rilevante chiarire la differenza tra limitazioni della sovranità e cessioni di sovranità.
Si ritiene che i Padri costituenti non avessero scelto a caso il termine “limitazioni”, in quanto la “cessione” sarebbe entrata in conflitto con l’articolo 1 per il quale la sovranità appartiene al popolo.
Affrontare questo aspetto del problema pare rappresenti oggi un reato di lesa maestà, mentre appare sempre più evidente che si cerchi di evitare, da parte degli europeisti un tanto al chilo, di farne oggetto di dibattito.
A ciò si aggiunga che le limitazioni cui fa riferimento la Costituzione sono state previste in funzione del mantenimento della pace, per cui esse sarebbero dovute restare circoscritte ai trattati e agli accordi internazionali contenenti, appunto, il richiamo alla pace e alla giustizia.
L’avere ampliato il raggio d’azione di tali limitazioni, introducendo il principio della “cessione di sovranità”, potrebbe rappresentare un vulnus costituzionale.
Va, a questo proposito, rilevato, con disappunto, che questo tema, come tanti altri, è stato abbandonato dalla sinistra, che ha fatto cadere il silenzio persino sullo strapotere della finanza nell’economia attuale.
È di questi giorni un intervento dello storico Luciano Canfora che in un’intervista all’Huffington Post, ha detto: “Sovranismo è una parola inventata e priva di contenuto. Dire che la sovranità nazionale è un disvalore è una stupidaggine. Se una cosa è giusta, anche se la dice un uomo di destra, non cessa di essere giusta. Ad esempio, la difesa della sovranità nazionale di fronte al capitale finanziario non è sbagliata”. Ipse dixit!