Il rumore del silenzio

Si fa, giustamente, un gran parlare dello “stile Draghi”. Tanto è stato detto, ma mai abbastanza.

Personalmente, mi consentirò solo una nota a piè di pagina, come suol dirsi.

Siamo davanti alla visione plastica di come viene oggi concepita la politica. La  comunicazione è asciutta, e anche quando il manovratore  fa una cosa normale, come accettare il confronto con i giornalisti, tutti lì a lodarne lo stile, ringraziandolo quasi per avere concesso a noi poveri mortali la sua parola. Perché, volendo, non ci sarebbe  neanche bisogno di giustificare le scelte che vengono compiute, nel momento in cui il teorico del “pilota automatico”, prende le “sue” decisioni. Che poi, diciamocelo, non sono “sue”. È  come se agisse in lui uno spirito che gli fa fare la cosa giusta, cioè la cosa che si aspettano da lui quelli che per decenni lo hanno coccolato, che lo hanno messo dentro o a capo delle istituzioni economico-finanziarie che contano. Ed allora perché perdere tempo a dare spiegazioni al popolo, tanto non capirebbe. La persona è  così al di sopra di ogni sospetto, è così una brava persona che merita fiducia, a prescindere. E così abbiamo esaurito anche gli ultimi scampoli di democrazia. È stata più che sufficiente una pandemia, di cui ancora oggi sappiamo ben poco, per svelare il vero volto del potere. 

Basta guardare la determinazione con cui si è perseguito l’obiettivo di tenere la popolazione in uno stato di perenne sudditanza e soggezione, obiettivo raggiunto grazie alla complicità di un’informazione che dice e non dice, di una politica che con l’alibi dell’emergenza ha  avuto facile gioco nell’imporre norme di cui spesso  non si comprende la logica e di una comunità  scientifica che sta dando pessima prova di sé,  non avendo avuto la forza e la volontà di sganciarsi dagli interessi della politica, assecondandola, anche quando avrebbe dovuto far sentire la sua autorevole voce e si è, invece, limitata a tenui pigolii.

Non deve stupire, pertanto,  se qualcuno azzarda qualche analogia con i regimi dittatoriali. Ma a differenza di questi ultimi che giocano a carte scoperte, le democrazie occidentali giocano “sporco”, dandoci l’illusione di partecipare alla gestione della cosa pubblica, ma soprattutto convincendoci che governare è una cosa troppo seria per lasciarla in mano al popolo, che ignora le reali dinamiche della società. È grazie a questi presupposti che qualcuno (e non è uno scherzo) ha proposto che per accedere all’esercizio del diritto al voto, costituzionalmente sancito, si debba essere in possesso di una patente che ne certifichi l’idoneità. Tutto questo in silenzio, per non fare rumore.

E soprattutto, per favore, non disturbate  il manovratore! Lui sa qual è il nostro bene!