Il calcio caduto dal pero

Ho assistito basito alla indegna cagnara intorno alla Superlega. Vi ho trovato la conferma dell’ipocrisia imperante, cifra distintiva di questi nostri brutti tempi. Perché uno sport che macina miliardi ed è quindi entrato a pieno titolo nell’ingranaggio del mercato, dovrebbe fermarsi in questa sua marcia trionfale già intrapresa da decenni? Chi ha il diritto di fare la paternale alle società quotate in Borsa, quando nulla è stato fatto per impedire questa deriva? Delle due l’una. O lo sport è una nobile attività che va tenuta fuori dai meccanismi perversi del mercato o, una volta che ci entri, non puoi più  provare a rifarti una verginità, quando hai accettato le regole del gioco, invocando improbabili scuse come quello di voler difendere lo sport più popolare dalle grinfie del vile denaro.

Ma poi, da quale pulpito! 

Un ambiente corrotto nei suoi gangli vitali, (valgano per tutti i casi di Platini e Blatter), pronto a tutto pur di difendere gli spazi di potere che si è guadagnato nel tempo, pretende di ergersi a difensore dei tifosi, ai quali va applicata la formula cara agli antichi romani panem et circenses e che, poverini, devono pur avere la possibilità di sfogare in modo innocuo la rabbia accumulata durante una settimana di sfruttamento intensivo e la soddisfazione di vedere che c’è ancora qualcuno che pensa a loro!  Non avvertono, i ricchi padroni del calcio, la vergogna di far ballare davanti agli occhi delle tifoserie, i miliardi che girano attorno ad un ambiente “sano” come quello del pallone? Cifre astronomiche per  acquistare giocatori che solo i grandi club possono permettersi i quali, giustamente, reclamano il diritto di continuare a macinare miliardi come ricompensa del loro produrre consenso e di rappresentare un’arma di distrazione di massa, potente come nessun’altra.

E i miliardi  che girano intorno ai diritti televisivi, sono forse un trascurabile particolare, all’interno di questo mondo di pescecani?

Mentre alle tifoserie è necessario far credere che l’importante è partecipare, i grandi club si ispirano al principio che l’importante è vincere per vedere salire le quotazioni delle loro azioni.

Ed allora, il calcio come metafora dei nostri tempi, dominati dalle regole ferree del mercato in cui 

“La posta in gioco è massima, l’imperativo è vincere

E non far partecipare nessun altro

Nella logica del gioco la sola regola è esser scaltro

Niente scrupoli o rispetto verso i propri simili

Perché gli ultimi saranno gli ultimi se i primi sono irraggiungibili…” (dal brano Quelli che ben pensano di  Frankie hi-nrg mc)

Ci avete provato a fermare, ipocritamente, quello che avete definito uno strappo, e che, invece, sapete bene essere la naturale evoluzione di un processo inarrestabile che avete voluto voi. Ma, come qualcuno dei ribelli ha fatto intendere, vedrete che ci riproveranno, perché il progetto “è buono”!