La fede o l’amore?

di Sergio Fanti

C’è una storia di gossip che mi ha attirato. E’ quella di don Riccardo, parroco di Massa Martana, un paesino in provincia di Perugia. Cosa ha fatto don Riccardo? A un certo punto si è dimesso da prete (diciamo così) perché innamoratosi di una dolce fanciulla.

prete e donna

Riccardo è un bel ragazzone di 43 anni che un bel giorno chiede di essere dispensato dall’obbligo del celibato e di essere dimesso allo stato laicale (questa è la dicitura corretta). In pratica, annuncia al vescovo che la sua carriera di prete finisce lì perché si è innamorato di Laura, una bella 26enne che adesso è la sua fidanzata.

Riccardo sostiene di non aver mai confuso le cose e di essersi comportato da prete integro in tutto e per tutto fino a quando ha capito che l’amore lo avrebbe costretto a una scelta netta, che lui ha compiuto in piena libertà, coscienza e trasparenza. Proprio per evitare una condotta di doppia morale come molti altri colleghi, ha preferito rassegnare le dimissioni.

A questo punto diventa interessante leggere il comunicato diramato dalla Chiesa qualche giorno successivo all’annuncio. Nel comunicato, la Diocesi ricorda che chiede ai preti di vivere il celibato con maturità, letizia e dedizione. Ricorda che si diventa preti dopo sette anni di discernimento, al fine di valutare attentamente quella che dovrà essere una scelta definitiva.

Il comunicato prosegue dicendo che una delle affermazioni che, in questa circostanza, va per la maggiore è la seguente: “Al cuore non si comanda”. Tale opinione – prosegue il comunicato – è indice di quanto,  in un tempo segnato dal relativismo, la ragione sia sottoposta al dominio del sentimento.

Si è parlato di eroismo davanti ad un prete che decide di mollare tutto perché si è innamorato di una ragazza; certamente occorre rispetto per la libertà di chi, pur avendo promesso solennemente di consacrare tutto sè stesso a Cristo Gesù per il servizio alla Chiesa, non ce la fa, ma parlare di eroismo risulta davvero fuori luogo. Gli eroi sono quelli che rimangono in trincea anche quando infuria la battaglia, come, ad esempio, i mariti e le mogli o i padri e le madri che non mollano nei momenti di difficoltà, perché si sono presi un impegno e l’amore li inchioda anche nel tempo in cui i sentimenti sembrano vacillare, ecc.ecc.ecc.

Tirando le somme …anche se sono somme impossibili. Da uomo che ama la donna mi sento in risonanza con don Riccardo, e non ho dubbio che la sua sia stata una scelta complicata e contrastata. Ma, per come intendo io le scelte e le promesse, mi piace anche la replica della Chiesa. E non mi sento di criticarne l’apparente ottusità quando afferma che una scelta fatta per amore è poca cosa di fronte all’impegno preso – e preso precedentemente – con Dio.

E allora mi è venuto in mente un filosofo danese dell’Ottocento, molto famoso, si chiamava Soren Kierkegaard,  fu forse il primo grande esistenzialista. Questo ragazzo (dico ragazzo perché poi è morto a 42 anni) ha dedicato l’esistenza all’introspezione e alla ricerca di Dio. Ha diviso le possibilità di vita in 3 grandi categorie: la vita dell’uomo estetico (che è un po’ quella del seduttore), la vita dell’uomo etico (che è la vita del buon marito e padre di famiglia che segue le convenzioni), la vita dell’uomo religioso, (che è quella dell’uomo che vive in una dimensione profonda e individuale, in cui avviene il rapporto personale con Dio). Non mi soffermo su tali modalità di vita, voglio solo indicare come Kierkegaard abbia visto degli steccati, delle distinzioni nette e INVALICABILI tra ognuna di queste 3 vite. Per lui sono 3 esistenze alternative. Ogni esistenza implica la rinuncia alle altre. E il suo percorso è la drammaticità di dover compiere obbligatoriamente delle scelte, e quindi delle definitive rinunce. Due sue grandi opere sono intitolate “Aut-aut” e “Timore e tremore”, e sono imperniate proprio sul peso delle scelte. Delle scelte irreversibili. Per Kierkegaard  la vita dell’uomo è condannata a una continua paralisi,  perché combattuto tra varie opzioni conflittuali. Si fidanza con una ragazza diciottenne, una certa Regina Olsen che voleva sposarlo e lui era innamoratissimo di lei, ma dopo un anno la lascia perché si sente inadeguato alla vita del marito, prediligendo egli la vita religiosa, cioè la vita del filosofo alla ricerca di sé stesso e dedito alla coltivazione della propria anima. E ritenendo – come detto prima – inconciliabili le due vite. Regina Olsen starà malissimo, tenterà il suicidio, poi sposerà un altro senza amarlo e cercherà disperatamente di riincontrare Soren.  Il quale continuerà ad amarla in silenzio e la lascerà unica erede dei suoi averi, come a dimostrarle in maniera tangibile il suo eterno amore. Fu  una vicenda triste e drammatica per tutti. Kierkegaard disse che da quando si separò da Regina visse tutta la vita con una scheggia nelle carni.

Insomma, ho accomunato la vicenda di Kierkegaard a quella di don Riccardo, al quale auguro di vivere in modo ben più leggero le sue problematicità.

In chiusura, vorrei raccontarvi brevemente il primo incontro tra Riccardo e Laura. Fu sul pullman della parrocchia. In una gita collettiva un loro amico aveva inserito un cd di heavy metal e don Riccardo metteva il dito sul volume per abbassarlo, e Laura invece lo alzava. La cosa è andata avanti per un po’ – proprio conflittualmente – finché Laura gli ha rotto il dito.  All’ospedale al povero Riccardo hanno dovuto mettere tre chiodi. Pensando al matrimonio, Riccardo dice che non ce n’è poi tanto bisogno, perché lui la fede la porta già da quel primo incontro, ben conficcata nelle carni. Proprio come direbbe Kierkegaard.

foto tratta da roma.corriere.it