Il nostro Paese aveva proprio bisogno di un supereroe con i superpoteri, insomma, di uno come SuperMario. Pensate che è riuscito persino a rendere, per alcuni versi, peggiore il Recovery Plan del governo precedente, per esempio, relativamente all’ambiente, con buona pace dei pentastellati.
Ma ciò su cui voglio soffermarmi è il titolo completo di questo documento, il cui acronimo è PNRR, ovvero Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Al netto di ciò che ciascuno può pensare di questi soldi che, in un modo o nell’altro, dovremo restituire all’Europa, magari sotto forma di riforme di stampo neoliberista, è la parola resilienza che mi inquieta.
Perché è stato utilizzato questo termine? Ha esso a che fare con la politica, più di quanto si possa immaginare?
Credo di sì.
Si fa un gran parlare di resilienza e, come sempre, quando una parola “fa figo”, anche a sproposito. Il termine resilienza fa riferimento alla proprietà fisica di un corpo di riprendere la sua originaria conformazione, dopo che esso è stato deformato a seguito di un evento violento.
Quasi sempre, perciò, il significato che si attribuisce al termine ha una valenza positiva.
Ma le cose non sempre stanno così. La resilienza è, certamente, una proprietà positiva anche per l’essere umano, che grazie ad essa, riesce a tornare alla vita normale e a riprendere le occupazioni di sempre dopo avere subito un lutto o un trauma. Ma a ben vedere questa capacità di incassare ed andare avanti non sempre è un bene. Potremmo affermare che essa rappresenta un limite quando il colpo ci viene inferto dall’arroganza di qualcuno che conculca un nostro diritto o ci induce con la forza ad agire contro la nostra volontà. È per questo motivo che alla resilienza andrebbe preferita la resistenza, ovvero la capacità di resistere alle ingiustizie per opporre a chi le perpetra una volontà più forte e tenace, che non accetta i soprusi e combatte per fare trionfare un principio che si ritiene giusto. Immaginate un popolo soggiogato dalla violenza di un potere sempre più feroce che, anziché reagire opponendo la propria forza e organizzandosi per sconfiggere chi lo opprime, mostra resilienza, accetta di essere sottomesso per paura di lottare o per quieto vivere, adattandosi passivamente alla nuova situazione. Difatti, per combattere i fascismi c’è voluta la Resistenza, non certo la resilienza.
Dopotutto la condizione dell’uomo moderno è caratterizzata dalla resilienza. Si è riusciti, infatti, a fare accettare come normali la povertà diffusa, la precarietà dilagante, lo strapotere delle lobby economico-finanziarie, convincendoci che non c’è alternativa a questa società dominata dal mercato che, come un Leviatano, tutto inghiotte e tutto divora.
Tutto questo è stato possibile grazie alla tanto decantata capacità, molto apprezzata da chi governa le cose del mondo, che ha l’uomo, di sviluppare resilienza, quando, a volte, sarebbe bene opporre una sana e benefica resistenza. Avere scelto questo termine allora potrebbe significare nel linguaggio criptico della politica: scusa cittadino europeo, ti abbiamo mazziato ripetutamente; ai colpi inferti dalla natura abbiamo aggiunto quelli del potere economico e ancora non abbiamo finito il lavoro. Tu, comunque, dopo tutte queste legnate, hai il dovere di ritornare com’eri, di fare finta di nulla e di rimetterti in piedi, perché noi, sappi che continueremo imperterriti a infliggerti tutti i colpi che riterremo opportuno. Fai del tuo meglio e utilizza al massimo quella caparbia capacità così utile, più a noi che a te, che è la resilienza.
Credo che faremmo meglio a fingerci resilienti e, intanto, prepararci alla resistenza, coltivando quel pensiero critico che fa tanta paura a chi vorrebbe lasciarci nelle tenebre dell’ignoranza, tanto è vero che chi ha il potere di decidere delle nostre vite non sembra avere particolarmente a cuore l’ultimo baluardo contro l’ignoranza: la scuola pubblica, sempre più obbediente al mercato e sempre meno palestra di riflessione sul passato e il presente.