Esistono esempi paradigmatici di come sia duro a morire il ricorso alle fonti energetiche non rinnovabili.
Già nel 2019 si era sfiorata la crisi tra M5S e Lega sulle trivellazioni nel nostro territorio.
A livello europeo, il documento di riferimento su questo tema è il Trattato sulla Carta energetica, siglato tra i paesi dell’UE nel 1994 ed entrato in vigore quattro anni dopo. L’Italia è uscita dall’accordo nel 2015 ma la Carta dell’Energia resterà a garanzia degli investimenti esteri in Italia per 20 anni. Ciò significa che le aziende potranno citare il nostro Paese in giudizio anche dopo il 2015, fino al 2035.
Per capire come funziona la democrazia quando ci sono in gioco i potenti interessi delle grandi multinazionali, è sufficiente prendere in considerazione quanto il trattato prevede a proposito delle modalità di risoluzione delle controversie tra le aziende investitrici nel campo dell’energia e lo Stato. Ordunque, questo sistema consente ai privati di chiedere risarcimenti fino a nove zeri, facendo ricorso a corti sovranazionali private senza possibilità di appello e con processi a porte chiuse, qualora uno Stato con le sue leggi dovesse attuare politiche che colpiscano i loro profitti.
Per chi volesse saperne di più è sempre possibile consultare la Rete alla voce ECT.
In Italia, spesso, nonostante il parere negativo delle autorità preposte alla valutazione dell’impatto ambientale e senza interpellare la volontà dei cittadini, le trivellazioni vengono, comunque, avviate e/o prorogate, a conferma del fatto che quando gli interessi in gioco sono enormi, è possibile aggirare qualunque ostacolo.
Poste queste premesse, è lecito porsi alcune domande.
La prima è: esiste una politica ambientale in Italia, al di là delle dichiarazioni di principio? Ma forse, ancor prima di questa va posta un’altra domanda: c’è in Italia e nel mondo la volontà politica di affrontare seriamente la questione ambientale?
Le due risposte sono abbastanza semplici: no!
A testimonianza della fondatezza di queste risposte basta guardare sia la vaghezza che, spesso, caratterizza le risoluzioni cui pervengono i vari G8, G20 e via contando, sia la mancanza di severe conseguenze e sanzioni previste dai protocolli che concludono questi consessi. Hai voglia di redigere Agende e stilare Protocolli, gli unici accordi che si trovano sono quelli che prevedono profitti immediati. Poi, il vuoto.
Ecco cosa afferma, a tal proposito, l’Agenda 2030: “Entro il 2030 si chiede di: 7.1 Garantire l’accesso universale ai servizi energetici a prezzi accessibili, affidabili e moderni. 7.2 Aumentare notevolmente la quota di energie rinnovabili nel mix energetico globale. 7.3 Raddoppiare il tasso globale di miglioramento dell’efficienza energetica”. Ciascuno valuti l’attendibilità di questi obiettivi, alla luce dei risultati fin qui raggiunti.
Per quanto riguarda il nostro Paese da decenni si installano piattaforme di trivellazione, cui si sono opposti solo i Verdi e qualche altro partito minore.
Per capire bene, poi, quello che succede in questo momento in Italia, risulta interessante seguire alcune dichiarazioni di Roberto Cingolani, responsabile del Ministero della transizione ecologica, voluto fortemente dal Movimento 5 stelle che lo ha posto come conditio sine qua non per entrare nel governo Draghi:
“Il gas naturale sarà l’ultimo combustibile fossile a scomparire poiché aiuta a portare avanti la transizione energetica”, oppure: “non va perso il treno della fusione nucleare”
Per non parlare dello sblocco delle concessioni per l’estrazione di metano e petrolio in varie località italiane. Senza volere entrare nel merito delle scelte politiche, che ciascuno può valutare da sé, c’è solo da osservare come tutto questo avvenga con l’accordo dei pentastellati, il cui assordante silenzio è inquietante, nonché significativo del peso politico che esso ha all’interno della compagine governativa.
Si chiede già da anni, giustamente, Greenpeace: “ha senso mettere a rischio i nostri mari – e con essi il turismo, la pesca e la vita delle comunità costiere – per estrarre quantitativi minimi di petrolio e gas a solo beneficio delle compagnie petrolifere? Ha senso che a decidere su una materia del genere sia solo il governo di Roma, senza ascoltare i territori e le loro istituzioni?”
Evidentemente, i vari governi e i petrolieri hanno già la risposta esatta!