di Sergio Fanti
Lavoro importante, questo su Bologna di Giorgio Comaschi. Un lavoro che si prefigge di condensare in una impegnativa sinossi di un paio d’ore quasi 3000 anni di storia (la narrazione di Comaschi parte dall’800 a.C.).
Che si tratti di uno spettacolo pretenzioso lo si annusa già dall’incipit musicale, affidato all’ouverture de “La cambiale di matrimonio” di un giovanissimo Rossini. L’orchestra del Teatro Comunale, diretta da Valentino Corvino, ha fatto da colonna sonora alle digressioni di Comaschi, eseguendo musiche che sono state composte da bolognesi o che hanno avuto a che fare con Bologna.
La prima parte appare a tratti affaticata: nonostante Comaschi si faccia in quattro per animare ogni notizia, le molte informazioni storiche sono elencate in un modo quasi scolastico, ma d’altronde si tratta di comprimere tanta roba, e senza l’ausilio di molto materiale fotografico da proiettare sullo schermo gigante, cosa che invece ha corredato i racconti più recenti.
Dove lo spettacolo cambia marcia è quando la pagina si gira su Ottocento e Novecento. Comaschi recupera, per diventare magistrale dal dopoguerra in poi, mutuando anche materiale da altri suoi spettacoli, quali quello sullo scudetto del Bologna e quello sulle case chiuse. Innesti importanti, per restituire compiutamente il “pensiero bolognese” su varie vicende.
Miscelando sapientemente leggerezza e ironia ai drammi vissuti dal territorio bolognese a partire dalla strage dell’Italicus, Comaschi sistema negli scaffali della memoria tanti eventi che tutti ricordiamo in maniera forse un po’ disordinata.
Valutare il lavoro di altri è come recensire l’operato di un calciatore guardando la partita dal divano di casa, tuttavia azzarderei nel dire che è uno spettacolo che può migliorare ancora. Quando si parla dello scudetto e del presidente Dall’Ara, Comaschi prosegue e arriva al Bologna di Gazzoni e di Saputo, per poi riannodare il nastro e ritornare agli anni ’60 e al clima del boom economico, dai quali era partita la divagazione sul calcio. Di questo “scompiglio temporale” ha beneficiato il ritmo e il pathos della narrazione, e forse operare qualcosa del genere anche nei racconti che vanno dall’età del ferro fino al Novecento renderebbe il lavoro ancora più avvincente. Facile a dirsi…ma vedere Comaschi troppo imbrigliato “nei dati e nelle date” è un supplizio per chi lo conosce quando parte raccontando a braccio e diventa incontenibile.
Giorgio Comaschi è una miniera di aneddoti. Ne citiamo due per invogliarvi a vedere lo spettacolo e ad approfondire il tutto.
Nel 1926 a Bologna ci fu un attentato al duce, ad opera di un quindicenne a nome Anteo Zamboni. Il tenente che bloccò l’attentatore fu Carlo Alberto Pasolini, padre di Pierpaolo.
E poi, l’incredibile storia di Girolamo Ridolfi, il conte ladro di fine ‘700, tradito dalla sua compagna Berenice Serazzi e infine giustiziato, nel rammarico popolare. Una storia che sembra una sceneggiatura inverosimile.
Insomma, un lavoro poderoso e importante, ad opera del performer che più di ogni altro incarna e racconta la poesia e i limiti del vivere a Bologna e dell’essere bolognesi.