di Sergio Fanti
E’ uscito un interessante saggio sull’odio digitale. Ad opera di Milena Santerini, che ha pubblicato “La mente ostile. Forme dell’odio contemporaneo”. Infatti l’indagine del libro verte non tanto su sentimenti e pulsioni antiche quanto l’uomo, quanto sulle nuove “forme” che esse stanno assumendo con i nuovi costumi digitali. Assistiamo a una proliferazione dell’odio in rete. E’ il fenomeno dei cosiddetti “haters” (appunto, odiatori).
L’odio c’è sempre stato, fa parte della storia dell’umanità e della struttura stessa dell’essere umano. Il web lo rende semplicemente più visibile che in passato. Tecnicamente, il web è un habitat ideale per le manifestazioni forti di dissenso, che sfociano in odio. La rete facilita dei meccanismi di estemporaneità, di risposte o di commenti che escono “dalla pancia” e che a volte vengono successivamente cancellati, come in una sorta di pentimento postumo. Ma nel frattempo una semplice frase è stata vista da tante persone. L’odio è un sentimento antico come il mondo, ma la rete lo ha come rinnovato, dandogli nuove strade e opportunità per essere stimolato e veicolato.
Interessante notare come gli scienziati abbiano prova che l’odio sia un sentimento complesso, che riveste varie aree del cervello, e quindi – quando ci attanaglia – è totalizzante. Altri sentimenti anche molto forti, come paura o ira, occupano zone “singole” del cervello. A questo aggiungasi che le regioni dell’odio confinano con quella dell’amore, e quindi appare pienamente giustificato il sentimento di odio e amore che pervade secoli di letteratura.
Inoltre, è da notare come, rispetto all’amore che vive solo quando siamo pervasi da innamoramento e passione, l’odio sia un sentimento che funziona anche “ a freddo”: può essere elaborato e coltivato nel tempo.
Spesso l’odio funge anche da difesa inconscia contro situazioni di disagio che – nella profondità del nostro essere – temiamo che ci possano coinvolgere e riguardare. E’ questo il caso degli episodi di violenza contro individui fragili e indifesi come i clochard, episodi che non hanno nessun alibi razionale.
La scienza dice che geneticamente siamo empatici, quindi assolutamente “non haters”. Ma tale empatia viene soffocata da retaggi culturali e dalla scarsità di risorse determinata da una insufficiente redistribuzione delle ricchezze.
(foto tratta da fundaciongabo.org)