Pietà l’è morta! Israele e la cattiva coscienza dell’Europa

Questo schieramento così sbilanciato a favore di Israele merita di essere discusso senza atteggiamenti da tifo da stadio. 

Una serie di eventi favorevoli fecero sì che, a partire dalla Dichiarazione Balfour del 1926, ad opera del governo britannico, il popolo ebraico si assicurasse l’appoggio degli Stati Uniti e dell’Europa. Sarà il nazismo con tutta la sua ferocia a decretare la definitiva simpatia per il popolo ebraico provato dal genocidio di cui è stato vittima. 

So di stare per toccare un nervo scoperto della cattiva coscienza dell’Europa, ma alcune osservazioni credo sia doveroso farle.

La prima osservazione che merita di essere evidenziata, ai fini di una corretta valutazione dei fatti, come condizione preliminare per evitare fraintendimenti facilmente strumentalizzabili, è che ormai è passata l’idea che qualunque critica nei confronti dei governi israeliani viene, in assoluta malafede, interpretata come una presa di posizione antisemita. Sfido chiunque a sostenere il contrario.  L’informazione è la prima a essere chiamata in causa, laddove essa con fare reticente dichiara, per esempio,  il numero totale dei morti in una delle tante guerre o semplici scontri, senza specificare che, sempre, il rapporto fra i morti palestinesi e quelli israeliani è a tutto svantaggio dei primi che vedono cadere sul campo molti più cittadini innocenti.

Esemplare il caso di quell’unico prigioniero israeliano per il quale il governo ha fatto carte false per la sua liberazione, mentre dei tanti prigionieri palestinesi si tace colpevolmente. Ma si sa, i morti non si contano, si pesano!

Oggi pietà l’è morta! Passano come acqua sui tetti le immagini di bambini morti o che hanno perduto la famiglia per mano israeliana, immagini che ricordano quelle dei bambini ebrei sui camion nazisti, mentre si continua a giustificare il diritto del popolo israeliano a difendere la propria terra con tutti i mezzi, anche quelli umanamente più deprecabili.

Non credo che ci sia qualcosa di antisemita nel riportare la notizia dell’iniziale decisione da parte del governo israeliano di escludere i palestinesi della Cisgiordania e della Striscia di Gaza dalla consegna dei vaccini, oppure la poco onorevole proposta  di qualche parlamentare israeliano di barattare vaccini contro prigionieri.

Sono umanamente  giustificabili questi comportamenti? Fin dove arriva la malvagità umana, quella malvagità  che gli ebrei hanno sperimentato sulla loro pelle? Cosa c’entra la Shoa con queste azioni da carnefici? Al netto delle attività terroristiche arabo-palestinesi, vogliamo per una volta prendere il discorso del terrorismo israeliano? Eppure l’Europa pare non avere nessuna voglia di affrontare con acribia storica la questione israelo-palestinese, dando per scontato che la colpa sia sempre dalla stessa parte. 

E quando con fare ipocrita l’ONU perviene a delle risoluzioni che condannano le azioni israeliane, tutto rimane sospeso senza alcuna conseguenza.

L’Onu ha emesso quasi un centinaio di   risoluzioni contro Israele che le ha puntualmente disattese, sostenendo che tali risoluzioni incoraggiano l’intransigenza palestinese e sono un ostacolo alla pace. Trovate quale altro paese può impunemente passare attraverso queste risoluzioni senza pagare dazio e capirete di cosa parliamo quando parliamo di lobby ebraica. Questa non vuole essere un’assoluzione degli atti terroristici perpetrati dai palestinesi, quanto un’accusa contro la politica filo-israeliana perseguita da molti paesi del mondo. 

Solo a partire da una visione equilibrata della questione israelo-palestinese si potrà costruire un percorso di pace tra i due popoli. Ma purtroppo mancano i presupposti per questo. Infatti si continua a puntare su una politica di guerra che evidentemente fa comodo ad alcuni sostenitori di ambedue le parti. 

Eppure sono diversi gli intellettuali israeliani e arabi che invocano strategie diverse nella conduzione della questione israelo-palestinese. Esemplare l’equilibrio dimostrato dallo scrittore israeliano D. Grossman che ha perso il figlio Uri nell’estate del 2006 durante la guerra del Libano, e che da anni ha parole di forte critica nei confronti  di Netanyau che sta, a suo parere, traghettando Israele da paese democratico a paese che va verso l’apartheid. Dall’altra parte il segretario generale della Lega Araba Nabil al-Araby ha più volte definito l’estremismo religioso uno dei più grandi problemi che gli arabi si trovano oggi ad affrontare. Alla comprensibile paura israeliana di vivere in uno stato di perenne allarme, non fa da riscontro nessun serio tentativo di costruire una pace duratura. 

Il sospetto che il popolo ebraico sia sprofondato in una comoda logica vittimaria, è oggi più che mai fondato, una logica i cui frutti si sono storicamente rivelati di gran lunga più vantaggiosi di qualunque altro atteggiamento, perché consente di potere invocare uno status privilegiato che esclude qualunque possibilità di critica. Infatti, come ha osservato D. Giglioli, “essere vittima dà prestigio, impone ascolto, promette e promuove riconoscimento, attiva un potente generatore di identità, diritto, autostima. Immunizza da ogni critica, garantisce innocenza al di là di ogni ragionevole dubbio. Come potrebbe la vittima essere colpevole, e anzi responsabile di qualcosa? Non ha fatto, le è stato fatto”.