Un bluff chiamato Kamala

La notizia che Kamala Harris, la buona, ha invitato i migranti messicani a non bussare alle porte degli States, poiché lei e l’altro buono J. Biden non apriranno, merita un paio di considerazioni. Chi si era illuso che l’Impero potesse cambiare pelle ha dovuto prendere atto che su alcuni temi non è possibile trattare.

Ma qualcuno credeva veramente che Kamala Harris fosse una liberal diversa dagli altri americani? Sicuramente lo stile è diverso da quello di quel rozzo di Trump. Lei non parla di muri, per carità. È un argomento volgare. Come quel volgare di Trump. 

Lei, infatti, anche se poco elegantemente, “invita” i messicani a non presentarsi alla porta  di casa sua. Sarebbero ospiti sgraditi. Non è molto fine, ma va preso come il consiglio di una madre. State a casa vostra. Staremo meglio tutti. Sicuramente noi, ça va sans dire!

Questa volta ha usato le buone maniere. Domani chissà…

Se qualcuno, a gennaio, era rimasto impressionato dall’attentato alla democrazia perpetrato da quei facinorosi pilotati da Trump, sappia che l’attacco al Campidoglio non è il sintomo di una malattia in un corpo sano. E non saranno certo le buone maniere a modificare la sostanza di un paese dalla diffusa povertà. Gli Stati Uniti sono malati e la malattia di cui soffrono, come tutti i paesi del mondo allineati ormai alle leggi di mercato, è la povertà e l’ignoranza delle masse popolari. Trump non ha inventato nulla, ha solo approfittato del malessere di una buona fetta di americani per attaccare la finanza e Wall Street, di  cui la Clinton era e rimane la paladina, facendo credere, da buon populista, che lo slogan America first avrebbe, una volta messo in pratica, migliorato le condizioni di vita del paese. Lo stratagemma usato per dare l’illusione di un primato americano era quello di sempre, usato anche dai suoi presunti avversari: far credere che il nemico è fuori dai propri confini, nella fattispecie la Cina e i migranti.

Era meglio Hillary? È meglio Kamala Harris? Molto è stato fatto, comunque, per tenere Sanders lontano dalla Casa Bianca. E questo vorrà pur dire qualcosa! 

Forse che prima di Trump gli Stati Uniti avevano risolto il problema  del razzismo e Trump lo ha fatto ritornare? Certo che no! Ha solo saputo cavalcare il malcontento, spingendo l’acceleratore sul diffuso sentimento razzista che alberga nell’animo di tanti americani WASP, assecondando il suprematismo bianco.  Si può combattere questo sentimento razzista? Certo che sì! Ma non sarà certo il duo finto-buonista Biden-Harris a modificare la realtà delle cose, essendo anche loro espressione di una mentalità neoliberista che non prenderà mai in considerazione il fatto che i veri problemi del paese sono l’ignoranza e la povertà.  Infatti, un paese che non si interroga sulle nefaste conseguenze della meritocrazia, fondamento della mentalità americana, non potrà mai risolvere le proprie contraddizioni. A questo proposito molto interessanti, per una corretta impostazione del problema, risultano le osservazioni del filosofo Sandel nel suo La tirannia del merito.

Kamala Harris rappresenta un esempio paradigmatico della falsa convinzione che basta essere di colore e, perdipiù donna, per portare aria nuova nella politica. 

Infatti, la vicepresidente americana si è intestata alcune battaglie progressiste che ha combattuto, però, dall’altra parte della barricata.

Uno dei nei nell’attività della vicepresidente è legato all‘affaire Mnuchin, un esponente del mondo delle banche, che, in qualità di CEO della One West Bank, prima di diventare ministro del tesoro di Donald Trump, si è macchiato, in diverse occasioni, del reato di frode. È indicativo che Mnuchin non sia mai stato perseguito dall’allora procuratrice Kamala Harris che, nel 2016, ha ricevuto dal CEO, in donazione, 2000 dollari per la sua campagna elettorale.

Credo, tuttavia, sia più interessante soffermarsi su alcune occasioni mancate dalla Harris per dimostrare il suo progressismo nel campo dei diritti civili. Per esempio, molti si sono chiesti perché la Harris non ha sostenuto la riforma della giustizia criminale in qualità di procuratrice del distretto di San Francisco? O perché non è mai intervenuta quando, in seguito a comportamenti scorretti di  funzionari, alcuni detenuti hanno scontato pene ingiuste? O, ancora,  a quale criterio di ispirazione progressista risponde l’avere inasprito le pene per i consumatori di droghe leggere? Dulcis in fundo,  quale visione democratica sta dietro la proposta di mettere in prigione i genitori di bambini che non frequentano assiduamente la scuola?

Possiamo considerare queste prese di posizione legittime e ritenere anche normale che siano  condivise da molti americani. Ciò che ci rende alquanto perplessi è il fatto che esse sono state assunte da un politico che si è presentato agli elettori come paladino dei diritti civili. Evidentemente l’informazione americana che ha fatto emergere queste contraddizioni non è riuscita a scalfire l’immagine che la Harris si è cucita addosso, confidando nel fatto che la doppia condizione di donna e di persona di colore fosse, di per sé,  garanzia di progressismo politico. E, purtroppo, ancora una volta ha funzionato.