L’immigrazione: un affare che piace a molti

Qualcuno ancora pensa che sia reale la volontà politica delle destre di combattere l’immigrazione? Basta fare due conti e seguire le notizie che arrivano dalle campagne del Meridione d’Italia per capire come stanno realmente le cose. 

La partita, tutta giocata all’interno della destra, vede da un lato chi è spaventato dalla presenza degli immigrati, paura alimentata ad arte da politici pronti a solleticare la pancia del paese, dall’altro chi scorge nella presenza degli immigrati una fonte di profitti. Ma veniamo ai fatti. 

Nel brindisino all’età di 27 anni è morto di infarto, per la fatica, Camara Fantamadi. Lavorava nei campi a 40° per sei euro all’ora. 

Dove lo trovate in Italia un operaio che lavora come uno schiavo per 6 euro l’ora? Tutta colpa del reddito di cittadinanza, pensano  e dicono in tanti, perché la logica del profitto è così tanto penetrata nella testa della gente che, anziché attribuire la colpa del fatto che non si trovano operai alle retribuzioni da fame, trova più ragionevole pensare che non ci siano più giovani che abbiano voglia di lavorare. Va da sé che questi nuovi schiavi del Terzo millennio sono funzionali sia al sistema liberista, poiché garantiscono manodopera a basso costo e rappresentano un’occasione per una revisione al ribasso dei diritti acquisiti dai lavoratori, sia alle attività  illegali, in quanto, a causa della loro disperazione spesso vengono ingaggiati da ‘ndrangheta, mafia e camorra come manovalanza criminale. Praticamente una manna dal cielo! Dovesse finire la pacchia, sarebbe un duro colpo per le mafie. 

È questa la società aperta sognata da molti? Questo ideale, senz’altro nobile in una società veramente sensibile ai diritti umani, nella nostra realtà si ammanta di umanità e filantropismo, mentre nasconde il suo vero volto fatto di sfruttamento e di strumento di crescita delle disuguaglianze.

Il commercio di esseri umani rappresenta, perciò, un’attività molto redditizia per l’economia del nostro paese, e non solo. Infatti, comincia a fruttare già nel paese d’origine dove qualcuno guadagna nel momento in cui arruola uomini, donne e bambini da far arrivare in Libia. Qui interviene un altro manipolo di delinquenti che si fa pagare per la traversata del Canale di Sicilia che rappresenta una vera e propria sfida contro la morte che molti, puntualmente, trovano nel Mediterraneo. Giunti in Sicilia e nel Meridione del nostro paese, molti di loro vengono arruolati dalle mafie locali per essere sfruttati nei campi o per attività illecite. Nonostante una legge lo proibisca, il caporalato gode di ottima salute.

Le ragazze vengono allettate, nei paesi di origine, con la prospettiva di un lavoro, per poi finire, spesso, sui marciapiedi.

Tanti bambini muoiono durante la traversata e quelli che ce la fanno spesso rimangono orfani, o addirittura vengono affidati, alla partenza, ad altri adulti, nella speranza che, giunti in Europa, possano avere un futuro migliore di quello che la loro terra può offrire loro.

Fin qui credo di non avere scritto niente di nuovo.

Ciò che viene metodicamente oscurata è la battaglia che molti intellettuali africani stanno combattendo per  sradicare dalla mentalità dei loro conterranei l’idea di un’Europa terra di libertà e benessere. 

Sono ormai diverse le organizzazioni che si sono poste l’obiettivo di restituire l’Africa agli africani, ritrovando quell’orgoglio che gli europei, e non solo loro, hanno umiliato.

Anche lo slogan “aiutiamoli a casa loro” ha mostrato il suo vero volto: un altro modo per tenere asservita l’economia africana agli interessi delle grandi multinazionali e dei paesi già ricchi.

“Non vogliamo essere aiutati!” è il grido di dolore che viene dall’Africa. Quando, però, qualcuno ha provato a sganciarsi dalle politiche di sfruttamento perpetrate dalle grandi potenze di Europa, Usa e Cina, ha pagato con la vita. Patrice Lumumba è stato uno di questi. Non era un comunista né un sovversivo , ma aveva avuto il torto di avere fondato un partito nazionale, il Mouvement National Congolais, deciso a farla finita con lo sfruttamento delle grandi risorse del Congo da parte di potenze straniere. Democraticamente eletto nel giugno del 1960 primo ministro, destituito qualche mese dopo senza passare attraverso un voto parlamentare, viene ucciso nel gennaio del 1961.

Seppur da premesse diverse e da una posizione di grande forza che gli derivava dalla gestione dispotica del suo potere, anche il colonnello Gheddafi ha pagato con la morte. A sentire l’informazione mainstream per liberare il paese da un dittatore sanguinario, cosa peraltro vera, mentre, in realtà, ha pagato per la politica di rifiuto della “tutela” di altri paesi, come la Francia, che con la sua moneta CFA continua a tenere sotto scacco le economie delle ex colonie. 

Ed allora, che si giochi a carte scoperte questa partita perché, con l’alibi dell’obbligo morale di aiutare questi diseredati, si continuano a perpetrare politiche di sfruttamento che intellettuali avveduti e onesti, non servi, di quella che è stata definita “servitù volontaria”, dovrebbero e potrebbero facilmente smascherare.