di Sergio Fanti
L’11 Luglio è il giorno fortunato per la Nazionale Italiana. E siccome non c’è due senza tre, aspettiamocene un altro. Un’altra grande competizione da vincere, in un 11 Luglio tra un po’ di tempo.
La vittoria agli Europei ha esaltato i tifosi strombazzanti – giustamente – e ha esaltato soprattutto la falsità dei giornalisti, che hanno evidentemente il compito di osannare fuori misura i giocatori e Mancini. Onore ai protagonisti, una vittoria fa sempre piacere, e quando è una vittoria prestigiosa ancora di più. Continua a sorprendermi come la sorte e la reputazione degli uomini e della bontà del loro lavoro dipenda da episodi. Abbiamo vinto ai rigori una finale alla quale siamo arrivati vincendo ai rigori. E lo sappiamo tutti, che i rigori non sono calcio. Bastano quei pochi centimetri che fanno andare la palla sul palo o dentro porta per cambiare i titoli del giorno dopo, e per convertire l’esaltazione in un malumore denso di rimproveri.
In un’epoca senza VAR, probabilmente saremmo usciti ai quarti, per quel gol annullato all’Austria per un fuorigioco millimetrico, di cui nessuno si era accorto in tempo reale.
Ma questo è il bello del calcio, la sua imprevedibilità, il fatto che Davide possa battere Golia anche giocando male: tutte componenti che hanno fatto del calcio il romanzo popolare di cui tutti si nutrono.
E su cui i giornalisti – schiavi ricchi del potere – giocano per inebetire ulteriormente un popolo devastato. Una giornata di festeggiamenti ripresi in diretta da Tv e giornali, una specie di Sanremo calcistica, roboante come mai lo era stata. I festeggiamenti di quando vincemmo i mondiali nel 2006 furono poca cosa al confronto, ma in fondo era un’altra epoca, c’era ancora il vizio di governare attraverso i meccanismi di voto delle elezioni.
Il mainstream plaude alla vittoria dell’Italia, e allo scampato pericolo che una nazione uscita dall’Europa potesse vincere gli Europei. E via con titoli deliranti.
“E’ l’Italia che riparte”…ma che significa? Abbiamo vinto una competizione sportiva. Bello, fa piacere, dà orgoglio, certamente…come la vittoria dei Maneskin all’Eurovision…fa bene all’umore, come quando apri la finestra su una bella giornata di sole. Come la pacca sulla spalla di uno che ti dice “bravo”. Ma non è che perché oggi c’è il sole riparte la vita di una persona, figuriamoci quella di un paese.
La vittoria all’Europeo è un’altra botta al senso critico di noi Italiani, siamo quasi più propensi a ripeterci che andrà tutto bene.
I ponti crollano in serie, arriveranno altri massacri per gli automobilisti, i morti sul lavoro non fanno quasi più notizia. Si è parlato per qualche giorno della ragazza di Prato inghiottita da una macchina tessile perché era una bella, esile e giovane fanciulla, se fosse stato un rumeno cinquantenne con la panza non avrebbe destato nessuno scalpore.
Ma gli azzurri di Mancini ci hanno regalato un sogno, ci hanno insegnato che nulla è impossibile, che basta crederci… e via con le solite cisterne di idiozie e di slogan buoni per ogni occasione…e siamo sempre più inghiottiti non da una macchina tessile – per fortuna – ma dalla macchina invisibile dello stordimento di massa, completamente funzionale all’accettazione passiva della devastazione in corso.
Nella stucchevolezza dei ricevimenti di regime, Berrettini ha donato a Draghi la racchetta con cui ha giocato la finale di Wimbledon. Immagino quanto piacere avrebbe fatto tale dono a un giocatore di tennis emergente. L’avrebbe inorgoglito , commosso, e responsabilizzato. Avrebbe riposto la racchetta in una bacheca da rimirare e spolverare ogni giorno. E invece, nel sussiego al potere, la racchetta è andata a Draghi, e la cosa mi intristisce. Anche gli sportivi vincenti sono come cantanti che devono ripetere cose che non sentono. Ce lo chiede l’Europa. Ce lo chiedono i mercati.
(foto tratta da tgcom24.mediaset.it)