L’astensionismo malattia terminale della democrazia

Dopo decenni in cui mi sono abbeverato anch’io alla fonte dell’informazione e delle narrazioni a reti unificate, cadendo in diverse trappole, tra cui quella della morte delle ideologie, arrivò il momento, anche se tardivo, in cui cominciai a fiutare la truffa. L’Europa dei diritti e della solidarietà erano un bluff, la morte delle ideologie una trappola per topi disorientati, la convinzione che viviamo nel migliore dei mondi possibili il risultato di un martellamento quotidiano che non lascia scampo.

Da allora ho visto il mondo con altri occhi, ma soprattutto, ahimè, ho assistito ad un incessante salmodiare in onore di un sistema che, senza che alcuno abbia la forza di contrastarlo, platealmente continua a produrre miseria e ignoranza,  le due ancore di salvezza cui si appiglia il sistema per perpetuarsi. La prima perché induce alla facile sottomissione ai diktat di chi detiene le leve del potere economico-politico, la seconda perché evita il rischio del pensiero critico che, nonostante tutte le belle parole che si spendono in proposito, rappresenta il più temibile nemico di un sistema che tende ad alimentarla per potere facilmente disporre delle menti obnubilate dei cittadini, ridotti a sudditi obbedienti. 

Ma le ultime notizie dal fronte della partecipazione sono poco rassicuranti per la salute del sistema democratico.

Volendo tracciare l’identikit di chi ha preferito restare a casa anziché recarsi alle urne si possono avanzare alcune ipotesi. Da un lato possiamo immaginare che siano i delusi della svolta ecumenica del M5S, ormai  cooptato all’interno della peggiore partitocrazia, dall’altro i rassegnati che pensano che ormai tutto è perduto per chi non ha trovato rappresentanza in questi ultimi decenni di iperliberismo.

Ma che fine farà questa maggioranza silenziosa? Anche qui, due le ipotesi: potrebbe crescere numericamente assestando un ferale colpo a quello che resta del sistema democratico, ma al tempo stesso, potrebbe rappresentare un serbatoio di voti della destra che è riuscita in questi ultimi anni ad intercettare meglio di altri il malcontento popolare e che potrebbe tornare a svegliarsi in forme ancora più radicali per la rabbia di non contare nulla, rabbia che forze politiche come Lega e FdI hanno alimentato e sfruttato per incrementare i propri consensi, attribuendo, p.e., ai migranti la causa del malessere dei ceti più poveri della società. 

In questo elenco di ipotesi la grande assente è la sinistra che è praticamente scomparsa, a meno che non ci sia ancora qualcuno che pensi che il PD abbia qualcosa da dire a proposito dei diritti dei lavoratori e della critica al sistema neoliberista che li ha completamente fagocitati. E, purtroppo, duole ammetterlo, anche i sindacati sono stati proni nell’accettare i diktat di Confindustria, vero dominus incontrastato della politica italiana da diversi decenni. Infatti, non è un caso se il ministro dell’istruzione è un economista e se la lezione di don Milani è durata solo una breve stagione.

Della rinascita di una sinistra vera neanche l’ombra. Il silenzio assordante di tutte le forze politiche sulla necessità di ridurre le disuguaglianze e la povertà, dichiarata solo a parole, ma quotidianamente smentita dall’adesione acritica a norme sempre più sfavorevoli alle classi lavoratrici, offre poche chance ad un ideale che è stato messo all’angolo da una ideologia che è riuscita in una missione che sembrava impossibile: convincere le donne e gli uomini che la vera libertà coincide con il massimo benessere individuale, veicolando con successo l’idea cara a Margaret e Ronald che “la società non esiste”.