“Green pass” e “Green book” per me pari sono

A volte il linguaggio della politica, anch’esso vittima della anglomania, favorisce la formazione di associazioni che inducono a riflettere sull’attualità. Questa volta l’occasione mi è stata offerta dal cosiddetto Green pass, questa carta che ti apre le porte della vita sociale al prezzo stracciato di un vaccino di cui ben poco sappiamo. L’associazione che immediatamente si è formata nella mia mente è stata con il “Green book”, la guida pubblicata dal 1936 al 1966 negli Stati Uniti, in cui erano riportati tutti i posti in cui le persone di colore potevano recarsi senza la paura di essere rifiutate. Se inizialmente questa associazione mi era parsa peregrina, sviluppandola meglio mi sono accorto che le analogie riscontrate tra i due documenti erano fondate.

Non è la prima volta, infatti, che una società utilizza strumenti che stabiliscono chi è meritevole di essere incluso nel consesso civile e, parallelamente, marchiano, a volte in modo indelebile, chi non ha  i titoli per farvi parte. E quando questo succede, c’è da essere sicuri che qualcosa non sta funzionando per il verso giusto.

Esiste, in ambito psicologico, un termine che esprime bene il meccanismo di cui stiamo parlando, ed è “stigma”, con il quale gli studiosi indicano il pregiudizio che grava su un determinato gruppo di persone che per motivi fisici, etnici, sessuali o sociali si collocano fuori da quella che è ritenuta la “normalità”. Alcolizzati, omosessuali, ebrei, barboni, afroamericani, sono accomunati dal disprezzo che una parte della società nutre nei loro confronti. 

Questa contro lo stigma è una battaglia che, nonostante i progressi verificatisi negli ultimi decenni, non può dirsi  vinta perché continuano a esistere sacche di resistenza, la cui presenza invita tutti noi a non abbassare la guardia.

A queste categorie dobbiamo oggi aggiungerne un’altra, quella dei  novax. Il meccanismo è lo stesso. Si accomunano in senso dispregiativo gruppi che hanno alla base della loro scelta motivazioni diverse, e si forma una categoria che, lungi dall’essere un monolite,  è, in realtà, un composito arcipelago.

Si è venuta a creare, inoltre, una situazione tale per cui vi sono molti paesi europei, e non solo, che hanno rifiutato di introdurre l’obbligatorietà di questo documento, sia per motivi legati a questioni connesse con la libertà individuale, sia per la ammessa, da più parti, inutilità dal punto di vista medico ed epidemiologico, e paesi come l’Italia che hanno deciso di imporne, di fatto, l’uso, sorvolando sulle perplessità che sono state avanzate da più parti e che imporrebbero, almeno, alcune riflessioni relativamente allo stato di salute della nostra democrazia. 

E chissà se domani, coloro i quali hanno deciso di non farsi inoculare questi preparati genici, impropriamente denominati vaccini, avranno bisogno anch’essi di un Green book!

La narrazione continua…..