La protesta sociale oltre l’emergenza sanitaria

Forse mi sarò distratto, o forse la notizia è stata relegata ai margini dell’informazione, ma l’agenzia Ansa riporta che a Cadice sono in atto proteste operaie di diversi settori produttivi contro gli aumenti dei prezzi, compresi quelli per l’elettricità. Video di questo avvenimento si possono trovare su facebook e Youtube. Informazione mainstream non pervenuta. Cosa ha di preoccupante questa notizia al punto da oscurarla? Dal punto di vista dei detentori del potere economico-finanziario è certamente un brutto segnale, mentre per le classi lavoratrici rappresenta un momento di grande significato politico, essendo la prima volta che si sgancia il tema sanitario dalla lotta contro la povertà e dal diffuso malessere che già da tempo serpeggia fra le classi popolari. Infatti, se la protesta contro quella che viene definita “dittatura sanitaria” è facilmente attaccabile per la sua scarsa presa sulle persone, martellate da una informazione a senso unico, le proteste tradizionali come gli scioperi e i cortei per il carovita o i licenziamenti, rappresentano agli occhi della popolazione una protesta legittima, fondata su ragioni condivisibili. 

L’idea che si possa risvegliare qualcosa che anche lontanamente possa richiamare la lotta di classe certamente non può fare piacere a chi in questi decenni ha fatto il bello e cattivo tempo, procedendo con passi da gigante verso le delocalizzazioni, la riduzione dei salari e i licenziamenti per ristrutturazioni aziendali, tutte azioni finalizzate ad aumentare i profitti.

Che si sia tirata troppo la corda nel conculcare diritti acquisiti da secoli di lotte e nel ridurre gli spazi di partecipazione dei cittadini comincia ad apparire verosimile alla luce  della rabbia montante in diversi paesi europei, dove la protesta contro vaccini e green pass non è altro che la punta dell’iceberg di una insofferenza a lungo sopita nei confronti dei potentati economici, dei grandi gruppi industriali che sono riusciti a veicolare l’idea dell’ineluttabilità delle politiche economiche e sociali da essi adottate.

Per comprendere la strategia neoliberista ci può aiutare il romanzo-saggio di fantapolitica, cui ho fatto riferimento in altre occasioni, Come vincere la guerra di classe di Susan George, in cui una ipotetica Commissione redige un Rapporto che suggerisce i comportamenti e le azioni da adottare per consentire al sistema capitalista di perpetuarsi senza scossoni, indebolendo, per esempio, “la democrazia che crea disordine e, in un mondo come il nostro, opera troppo lentamente” oppure smantellando “lo stato sociale che è andato troppo in là ed è troppo costoso”. Ma è l’ultimo suggerimento della Commissione quello che si rivela il più funzionale alla sopravvivenza del sistema: “conservare le gerarchie che da sole possono gestire sistemi complessi, ma incoraggiare tuttavia gli ultimi a “raccontare la verità al potere” senza per questo temere ritorsioni”.

Se consideriamo che l’opera è del 2012 non possiamo che provare, dieci anni dopo, un sentimento di seria preoccupazione, pensando che tutto questo si è realizzato senza che nessuna forza politica sia riuscita a contrastare un simile progetto.

Il Modello economico/elitario neoliberista, espressione che la George usa per indicare il sistema capitalista, è riuscito ad evitare di confrontarsi  con i reali problemi della gente comune, dirottando di volta in volta la pubblica opinione su questioni che non intaccano i capisaldi del sistema,  come per esempio sta accadendo adesso con il movimento novax e no green pass.

Ma gli avvenimenti di Cadice raccontano un’altra storia. Raccontano che è latente una protesta sociale che non sappiamo se sia pronta ad esplodere in forme incontrollate in quanto non ha trovato  rappresentanza, ma che sicuramente non va sottovalutata, nonostante il sistema mostri di essere, oggi, talmente forte da poter scongiurare una simile evenienza.