I paesi poveri e i festival della bontà

Il buonismo  verso i paesi poveri si può manifestare in tanti modi, ma ce n’è uno più irritante degli altri, e sono le kermesse organizzate dalle associazioni più disparate, alcune onestamente consapevoli delle responsabilità passate, presenti, ma, ahimè, anche future dell’Occidente,  altre in assoluta malafede. Fra queste, degne di nota, sono gli organismi internazionali che si occupano di partenariato economico e gli istituti bancari, sulla cui bontà siamo tutti disposti a scommettere. Il problema è che questi festival della bontà si susseguono in modo a tratti asfissiante, impedendo di operare riflessioni serie sullo stato dell’arte, che è appunto l’obiettivo non dichiarato di questi incontri. Di che si parla, dunque, in queste manifestazioni di bontà? Ma degli aiuti continui che portiamo a questi paesi, of course! Ogni tanto il meccanismo si inceppa, quando qualcuno ricorda ai grandi della terra il mancato rispetto degli impegni presi, ma poi tutto torna nella normalità, il re si riveste e la kermesse riprende con le autocelebrazioni che la caratterizzano. In particolare piace, a noi occidentali, parlare della sicurezza che portiamo con le nostre truppe militari presso questi popoli che, lasciati alla fame, sono finite vittime del gioco perverso di gruppi militari indigeni, spesso alimentati e foraggiati dall’occidente, che veicolano odi etnici contrabbandati da principi religiosi. A questo punto, come veri supereroi, fieramente armati, interveniamo noi che li difendiamo da un male che la nostra indifferenza ha alimentato. Ma dal portare vera ricchezza ci guardiamo bene. Infatti, il protocollo collaudato prevede che entrino in gioco i programmi di aiuti internazionali finanziati dal FMI, che decide come questi paesi beneficiari debbano utilizzare i fondi a loro destinati, nonché i tempi di rientro dei prestiti. Accadono a questo punto due cose. La prima è che i politici locali,  a volte in  combutta con agenzie terze, si intascano a fini personali parte di queste somme, ma soprattutto che gli interventi riguardanti l’agricoltura vengano condizionati da vincoli come il tipo di coltivazioni permesse,  vincoli che solitamente tendono a favorire le grandi multinazionali dell’agroalimentare come per esempio l’obbligo  di acquistare  sementi sterili e di fare posto alle colture estensive che tanti profitti procurano ai grandi gruppi, contribuendo in questo modo alla distruzione delle loro microeconomie che, al contrario, dovrebbero essere incentivate e potenziate, nel rispetto delle culture locali. E qui finisce la storia. E continua la povertà di questi paesi che, stante queste politiche, è più che evidente non usciranno mai da questo stato di sudditanza nei confronti di un Occidente che continua a farsi bello, pur sapendo di stare affossando definitivamente i paesi poveri del pianeta.