Quante volte, Figliuolo?

Come resistere ad una battuta del genere. Chissà quante volte è circolata sui social. Eppure la domanda non è peregrina e smette di essere una battuta nel momento in cui non sappiamo quante volte ancora dovremo offrire il nostro braccio alla patria. Non è necessario essere un novax per porsi questa domanda. Infatti nessuno, nemmeno il più incallito vaccinista, può sapere quando finiranno, e se finiranno, queste inoculazioni. Ma ascoltando i commenti di amici medici pare che non ci sia niente di male nell’aspettarsi un vaccino ogni mese. E invece, proprio adottando una prospettiva scientifica, è lecito porsi un’altra domanda: è possibile che si stia sbagliando nel puntare tutto sul tavolo dei vaccini? Anche perché ormai questa domanda circola in maniera più o meno insistente nel mondo della ricerca e della medicina. Solo da qualche mese è stato dato il parere positivo da parte delle Agenzie del farmaco per consentire alle aziende farmaceutiche di immettere sul mercato i farmaci per combattere il virus. Eppure forse si poteva sin da subito tentare questa strada, magari parallelamente alla ricerca di un vaccino, che i più esperti dicevano che non si sarebbe trovato, avendo questo virus le stesse caratteristiche del virus dell’HIV, per il quale, oggi, esistono i farmaci antiretrovirali in grado di contrastarlo egregiamente. 

Il tema è particolarmente interessante perché consente di fare alcune riflessioni sulla strategia adottata sin dall’inizio della pandemia da parte del Ministero della salute, che ha imposto come protocollo la “vigile attesa” e l’uso del paracetamolo, impedendo ai medici, per la prima volta nella storia della medicina, di intervenire secondo scienza e coscienza nel trattamento dei pazienti. A parte le critiche di qualificati esperti intorno al ricorso ad una simile strategia, già da tempo voci si sono levate contro il colpevole ritardo che si è accumulato nella ricerca di vie alternative al vaccino, voci sistematicamente ignorate.

E a poco vale la giustificazione addotta dalle industrie farmaceutiche che motivano questo ritardo con l’impegno che hanno profuso nella ricerca di un vaccino, immesso sul mercato dopo un periodo troppo breve di sperimentazione, con dati che sono stati manipolati o interpretati in maniera errata per accelerarne la distribuzione e l’uso. (A questo proposito rimando ai due seguenti link 1.Peter Doshi: i vaccini “efficaci al 95%” di Pfizer e Moderna: abbiamo bisogno di maggiori dettagli e dati grezzi2.https://www.google.com/url?sa=t&source=web&rct=j&url=https://www.scienzainrete.it/articolo/peter-doshi-non-ha-tutti-torti-ma-qualcuno-forse-s%25C3%25AC/roberta-villa-roberto-buzzetti/2021-01&ved=2ahUKEwiK8eiIjf_0AhVpg_0HHXImBa8QFnoECAYQAQ&usg=AOvVaw0IhiQG0WH7MFUSzKrcIhT9).

La lettura e la comprensione di quanto riportato in questi due articoli non è semplice. Aggiungo, anzi, che alcuni passaggi non sono per niente comprensibili per un profano, quale io sono, ma la loro lettura risulta, comunque, utile per comprendere l’impostazione generale del problema, di cui possono sfuggire gli aspetti più specialistici per i non addetti ai lavori. Ma, per correttezza ho ritenuto necessario riportare sia l’intervento di Peter Doshi che le riflessioni di Roberto Buzzetti e Roberta Villa a proposito delle critiche avanzate dallo studioso americano.  

È, inoltre, indicativo della scarsa volontà di fare chiarezza sulla sperimentazione, quanto accaduto negli USA dove alcuni professori e scienziati di tre Università che hanno chiesto alla Fda i documenti sul vaccino Pfizer, si sono sentiti rispondere che ci vorranno 55 anni per poter avere accesso alla documentazione completa.

È palese che ancora si è lontani da una soluzione, se mai sarà individuata, se è vero, come è vero, che paesi come Israele sono già partiti per la quarta dose dopo che, a due anni di distanza dall’esplodere della pandemia, non si è ancora pervenuti a risultati tali da consentire un ritorno alla normalità. È comprensibile che ci siano difficoltà vista l’estrema mutevolezza del virus, ma almeno ci si poteva aspettare che ci fossero dei ripensamenti sul green pass, il cui significato politico a nessuno può sfuggire. Ed invece si sta insistendo, con assurda e inusitata pervicacia, nel renderlo sempre più stringente, quando ormai si è compreso che esso non ha alcun valore da un punto di vista sanitario. 

E a questo punto la domanda iniziale è più che legittima: quante volte, Figliuolo?