La storia di Martina Pigliapoco

di Sergio Fanti
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Martina Pigliapoco (foto tratta da mattinopadova.it)
Finiamo l’anno in dolcezza, con un episodio che merita attenzione, quella stessa attenzione che dedichiamo sempre e forse troppo alle cose che non vanno. Lo scorso 4 ottobre, mentre noi bolognesi  festeggiavamo  il nostro santo patrono, una donna stava per suicidarsi da un ponte tibetano nel bellunese. Allertata, è giunta sul posto un giovane carabiniere donna, che si è dimostrata pronta di spirito e armata di buon senso. E dotata di un senso teatrale autentico, che è stata la tecnica che ha risolto la situazione. La signora era già all’esterno, oltre la recinzione, già bell’e pronta per saltare. La ragazza, sentendo che la signora non gradiva intromissioni in un attimo così decisivo, si è seduta sul ponte, a parecchi metri di distanza, per dire col corpo,  per dimostrare col corpo la propria non aggressività e non invadenza,  e lì ha cominciato a parlare, alla ricerca di appigli per stabilire un dialogo. Non è stata una cosa breve, ci sono volute 3 ore. E’ stato in realtà un monologo, un monologo lunghissimo, durante il quale la signora non rispondeva, ma che ha favorito qualche mossa di avvicinamento: la ragazza, strisciando il sedere sull’asfalto, parola dopo parola, domanda dopo domanda, ha guadagnato qualche metro. Poi alla quarta ora anche la signora ha cominciato a rispondere, confessando di avere tre figli e di essere una professoressa che ha perso il lavoro. La ragazza carabiniere ha avuto una grande intuizione per entrare in una connessione produttiva: a un certo punto le ha detto che sarebbe potuta essere la sua quarta figlia, instaurando un contesto a due all’interno del dramma. E ha determinato un cambio di visuale con una domanda: “Credi che preferirei una madre morta a una madre piena di problemi?”. Queste parole hanno avuto una forza enorme nel cambiare lo scenario nella mente della donna, che dopo varie esitazioni, dopo 6 ore che era agganciata al ponte con le mani e poggiata coi piedi su un cavo esterno, ha recuperato una forza erculea per ritornare a cavalcioni sulla ringhiera del ponte e afferrare la mano della ragazza. Una storia di grande pathos. Risolta però – ci tengo a sottolinearlo – dall’uso del cervello, dalla capacità di ascolto dei segnali o dei non-segnali dell’altro,  e da un grande tempismo nell’uso delle parole giuste. Ed è una riprova di come le parole sappiano cambiare la nostra vita, perché cambiare la nostra angolazione sugli eventi significa cambiare la nostra vita. Onore alla ragazza, una nemmeno 26enne che ha mostrato davvero grande attenzione e uso del cervello, perché il cuore usato male, a sproposito, da crocerossina stupida, assecondando slanci non filtrati da un senso critico,  probabilmente non avrebbe evitato la tragedia. Il carabiniere si chiama Martina Pigliapoco, è un’osimana in servizio in Friuli. Davvero una bella storia, una esemplare storia di condotta intelligente.