Il banchiere, il professore e la deriva autoritaria

Nonostante autorevoli personaggi ci vogliano convincere del contrario, continuo a pensare che ognuno abbia il diritto di manifestare le proprie idee affinché il dibattito si possa arricchire di diversi contributi, piuttosto che invocare bavagli di varia natura che fanno male al comune sentire democratico. Ed il dibattito in politica, almeno nei sistemi parlamentari, è il sale della vita democratica. Posta questa premessa di carattere generale, debbo purtroppo registrare come, a volte, le sorprese più inaspettate vengano da illustri personaggi della cultura. U. Galimberti, che ho sempre considerato un intellettuale di grande levatura, si è distinto, in quest’ultimo periodo, per alcune prese di posizione che ritengo piuttosto discutibili e oggettivamente pericolose. Mi riferisco alle affermazioni a proposito dei novax per i quali qualche tempo fa proponeva interventi di TSO. Non nascondo la rabbia e l’irritazione che ho provato nel sentire una figura che ho sempre considerato equilibrata, così sbilanciata nel proporre qualcosa della cui pericolosità pare non essersene reso conto. Riconosco che gli intellettuali possano usare, a volte, delle iperboli per animare il dibattito su questioni particolarmente sentite dalla pubblica opinione, va però detto che essi, proprio per le conseguenze che possono avere le loro riflessioni, hanno delle responsabilità cui non devono né possono sottrarsi. Da questo punto di vista, quanto sostenuto dal professore Galimberti a proposito dei novax, ha sicuramente contribuito ad avvelenare il clima già abbastanza teso, che si è progressivamente surriscaldato nel momento in cui la politica ha introdotto tutta una serie di limitazioni che hanno prodotto una secca contrapposizione tra “bravi cittadini”, obbedienti alle scelte dei governi e “cattivi cittadini”, indegni di far parte del consorzio civile per il  loro rifiuto di sottostare alle imposizioni della politica (che a parole afferma di seguire la scienza, ma nella realtà usa quest’ultima a sua discrezione come un’arma da brandire  contro chi contesta l’uso di parte  che viene fatto di essa).

Arriva adesso una nuova affermazione a favore del decisionismo in politica, che azzera di fatto il dibattito parlamentare, da parte del professor Galimberti: “Se siamo in emergenza fino a marzo, ci sarà uno che decide? Io di Draghi mi fido, non credo che sia un pazzo, credo che abbia le capacità per governare questa situazione, quindi lasciamo decidere lui a prescindere dai pareri discordanti di tutti gli altri partiti.

Ora, che uno si fidi di un politico è cosa plausibile (contento lui!). Ma questa pretesa che, in nome dell’emergenza, ci si debba affidare al “salvatore della Patria”, non fa altro che inasprire gli animi, in  considerazione, tra l’altro, delle contraddizioni e dei contorsionismi linguistici di cui sono infarcite le disposizioni governative. Oppure il professore vorrebbe, come ultimamente abbiamo dovuto ascoltare da alcuni, inaugurare una stagione di governi militari? Se questa ipotesi qualche anno fa sembrava peregrina e inaccettabile, fa veramente paura che circoli in questo periodo. Ma ancora più paura fa il sentire che questa deriva autoritaria sia prospettata da figure di intellettuali che dovrebbero favorire, al contrario, riflessioni serie, soprattutto in momenti storici in cui, anziché perdere la calma e lasciarsi andare a considerazioni avventate, è dovere di tutti quelli che hanno a cuore le sorti della democrazia evitare di infierire su di essa prospettando soluzioni che favoriscono il disamore dei cittadini nei confronti del potere e della politica, soluzioni che risultano destabilizzanti in un quadro politico-sociale già in crisi, in cui sembra essersi persa la bussola del buon senso. Ma forse è proprio questo il problema: non pare che in giro ci sia tanta voglia di difendere quello che è rimasto dei sistemi democratici dagli attacchi sempre più potenti dei suoi nemici che, diversamente da quanto pensava K. Popper, non sono solo i regimi autoritari ma lo stesso liberalismo, di cui ha tessuto le lodi, che negli ultimi decenni è degenerato nella forma di un neoliberismo pronto a fare piazza pulita dei valori democratici della partecipazione e dell’informazione libera pur di potere continuare indisturbato a macinare profitti, al di sopra di tutto, anche delle leggi.