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Ogni età, al di là delle diverse componenti che possono caratterizzarla, presenta sempre un aspetto più peculiare che rappresenta la sua cifra distintiva. Così accade, per esempio, che l’età medioevale non può in alcun modo essere compresa se la priviamo della componente religiosa che la caratterizza in modo definitivo. La mentalità del tempo si riconosceva nella dimensione religiosa e nelle sue manifestazioni. In quella società il denaro non aveva particolare valore e l’idea di accumulare ricchezza non faceva parte dell’orizzonte culturale del tempo. Allo stesso modo, l’età moderna risulta incomprensibile se non riconosciamo l’importanza che ebbero la formazione degli stati nazionali e del pensiero scientifico.

Questo lavoro di ricerca è peculiare degli storici che per orientarsi hanno bisogno, non solo di suddividere la storia in periodi, ma anche di riconoscerne i tratti peculiari. Queste coordinate servono anche a noi che cerchiamo di capire il passato e che utilizziamo gli strumenti degli storici per orientarci nel presente.

Ho sentito il bisogno di questa lunga premessa per cercare di capire su cosa è giusto  concentrarsi nel nostro presente, per coglierne la cifra distintiva.

A differenza delle epoche precedenti, l’età contemporanea, per via della sua maggiore complessità, se da un lato presenta certamente aspetti peculiari che la caratterizzano in modo unico, dall’altro vede la  coesistenza di mentalità diverse che ne aumentano la conflittualità interna. Per semplificare potremmo dire che se nel Medioevo non si poneva il problema del conflitto tra confessionalismo e laicismo, nelle nostre società questo rappresenta uno dei temi caldi con cui ci confrontiamo continuamente e che genera conflittualità che a volte degenerano in veri e propri scontri politici e/o militari.

Ma se è vero che possono esserci conflitti non ascrivibili a questioni di tipo economico, è però indubitabile che  la gran parte dei fenomeni socio-politico-culturali trovano la loro spiegazione nell’economia e nella finanza che determinano la vita degli individui più di quanto sia accaduto nelle epoche precedenti.

Le difficoltà che molti paesi incontrano nel cercare di elevare il livello di istruzione dei propri popoli rispecchia la volontà di chi ha il potere economico di mantenerli nell’ignoranza. Non si spiega altrimenti lo stato di povertà in cui versano intere nazioni che, anche quando vorrebbero realizzare scuole e investire nell’istruzione, trovano istituzioni come l’FMI che, dal momento che finanziano i paesi che hanno difficoltà economiche, hanno il potere di interdizione sul tipo di spese che essi possono o non possono affrontare.

Diverse voci si sono levate e si levano contro l’FMI, a partire dal premio Nobel J. Stiglitz,  per passare a figure come Amartya Sen e Noam Chomsky, i quali sottolineano soprattutto che le decisioni vengono prese dagli esponenti dei paesi ricchi, il che rende discutibili i criteri utilizzati per la concessione dei prestiti e per le  condizionalità imposte.

Se poi vogliamo avere dei dati più attendibili, qualora gli studiosi su accennati possano apparire di parte, allora l’invito è quello di leggere il rapporto che annualmente viene redatto dall’organizzazione Oxfam, che riporta i numeri riguardanti la ricchezza e la povertà nel mondo.

Appare evidente, inoltre, come in contesti di povertà  assoluta sia facile che possano attecchire movimenti che, spesso, dietro il paravento della religione, sviluppano i propri traffici illeciti, alimentando ad arte conflitti etnico-religiosi per avere il controllo di zone particolarmente interessanti per le loro risorse o per la loro posizione strategica.

Anche la condizione di subalternità delle donne, anch’essa spesso ascritta a motivazioni di carattere religioso, è  figlia dell’ignoranza in cui versano queste popolazioni, ignoranza che rappresenta un utile strumento di dominio, sia per i sedicenti movimenti religiosi sia per l’opulento Occidente,  e che per essere sradicata necessiterebbe di risorse che  vengono negate, non solo, come abbiamo visto, da istituzioni internazionali ma anche dalla politica locale.

Va, inoltre, considerato che spesso applichiamo a culture molto diverse dalla nostra categorie concettuali, economiche e religiose sconosciute ai popoli cui le applichiamo e che quindi anziché aiutarci a comprenderle ci fuorviano, facendoci commettere errori grossolani nella valutazione dei fenomeni che vengono studiati.

Questo approccio economicistico spesso viene contestato essendo considerato alla stregua di un materialismo di bassa lega. Vorrei sottolineare a questo proposito che tale approccio, non solo non esclude la componente “spirituale” dell’essere umano, ma intende valorizzarla al massimo, ritenendo che esso serve solo a cogliere lo “spirito del tempo”, e che quindi vuole essere uno strumento di spiegazione e non una legittimazione della riduzione dell’uomo alla sua dimensione economica, riduzione al contrario perseguita pervicacemente dall’attuale sistema neoliberista che, riducendo tutto al mercato, conduce più o meno consapevolmente a forme di nichilismo che, annullando la libera volontà umana, rende l’uomo simile ad un automa, obbediente ai “desiderata” di chi, non desiderando più nulla, accumula ricchezza su ricchezza senza chiedersi se tutto ciò abbia un senso.