Vai, vai! – Il racconto di oggi

Se credete che il mondo si legga solo in bianco e nero e non come un coacervo di lancinanti contraddizioni, non leggete questo racconto.

W il 25 Aprile, giornata fondante della nostra libera Repubblica

Ammiro chi resiste, chi ha fatto del verbo “resistere” carne, sudore,

sangue, e ha dimostrato senza grandi gesti che è possibile vivere,

e vivere in piedi, anche nei momenti peggiori

(Luis Sepulveda)

Vai, Vai!

-Vai, vai, cosa aspetti? Non pensarci. È un’occasione per racimolare qualcosa e ripartire. In cantina, ricordati c’è un copertone di riserva. Non si sa mai.

Arrigo, dopo l’esitazione all’annuncio di un vicino che i tedeschi avevano lasciato in riva al Po cavalli e mucche e animali da cortile trafugati durante la loro disordinata e poco teutonica rotta, seguì il consiglio della moglie.

Un panno, utile nel caso il viaggio dovesse prolungarsi più del dovuto, un cartoccio con un pezzo di pane e un salame non ancora stagionato al meglio, furono il bagaglio approntato per dirigersi verso il fiume.

Tancredi, uomo forte e taciturno da sempre amico, si offrì di accompagnarlo, mosso anche dal desiderio di infoltire la sua misera stalla depredata dai crucchi in fuga.

Freschi, dopo il sonno della notte, raggiunsero con decise pedalate il Reno. Un improvvisato ponte di barche allestito dagli abitanti in attesa che meglio facesse alla bisogna il ponte Bailey che stavano costruendo gli inglesi, rese possibile passare il fiume che nel tratto scelto per il guado aveva una limitata portata d’acqua quasi non fosse primavera.

Raggiunta la sponda, due partigiani armati vollero vedere i documenti e conoscere il motivo del viaggio. Avuti i ragguagli richiesti e dovuti, augurarono buona fortuna ai due esploratori dopo aver loro offerto un sorso di vino tanto apprezzato quanto di sapore non proprio gradevole.

Lungo la strada, in ogni paese, in ogni borgo, famiglie intere si districavano tra le macerie causate da cannoni e aerei, rovistando alla ricerca di ogni bene utile alla sopravvivenza. Vestiti che parevano stracci, lenzuola, piatti, tegami e posate e altro ancora veniva stivato sui carri o su cassette per essere al più presto utili alla ripresa della vita. Ancora, l’odore che lascia la guerra, impregnava l’aria, ma più forte era la voglia di lasciarsi alle spalle la sofferenza e guardare avanti.

Arrigo rallentava a ogni crocchio di persone se non addirittura si fermava per rivolgersi con parole di circostanza. Il serrato dialogo, condotto ognuno col proprio dialetto, dava la forza ai due per proseguire.

 A metà strada Arrigo propose di fermarsi per mangiare. Si sedettero su di un muretto, vicino alla fontana e prossimo alla Casa del Popolo.

Propri que a sa van da farmer, sven a la ca’ dal fascio? -Proprio qui davanti alla casa del fascio ci dobbiamo fermare? – commentò Tancredi.

Non siamo davanti alla casa del fascio, ma del popolo. Noi le abbiamo pagate e fatte col sudore della fronte e ora le riprendiamo.

Tancredi sorrise amaramente come per dubitare di quanto detto dall’amico.

Il salame di Arrigo e il formaggio di Tancredi furono come un pranzo durante una gita di piacere. Arrigo si lasciò andare ai pensieri. Gustava quel cibo con calma e pensò che era passato molto tempo dall’ultima volta che provò le medesime sensazioni. Pensò alla partenza per il fronte, all’amara sconfitta fra i Balcani, al naufragio e all’insperata scialuppa che lo portò a casa, ai nascondigli per sfuggire al nuovo reclutamento, all’arresto e alla fuga immediata orchestrata da un gruppo di partigiani. Tra una fetta e l’altra di salame rivedeva la sua recente vita e solo Tancredi che gli offriva la bottiglia del vino, lo riportava alla realtà per poi vagare ancora, ma nel futuro.

Con qualche mucca e qualche cavallo, pensava, potremo ripopolare la stalla e ricominciare. La stalla era in verità un piccolo spazio a ridosso dell’abitazione che gli aveva dato rifugio dopo che sfortunate circostanze finanziarie avevano privato lui e la famiglia dei pochi beni che avevano in dotazione.

Pensava di dividere lo spazio ricavando più ambienti e nel caso gli animali fossero in buon numero si poteva anche rinunciare a una camera, per il momento. Ci stringeremo. Non sarà quello il problema, pensava tra sé e sé.

Una volta ripartiti, Arrigo riconobbe i luoghi della sua infanzia, e ciò lo portava a quando il padre Enrico, abile contadino e donnaiolo, tornava col calesse dal mercato tenendo a bordo, al suo fianco, la nuora, mentre la moglie Adele mestamente li seguiva a piedi.

-È incinta, non può affaticarsi- era la ragione che accampava non riuscendo però a essere credibile ai più che maliziosamente ipotizzavano ben altre ragioni.

Il riscatto per la perdita degli averi, causa l‘ignominia truffaldina dello zio, lo spronava nel voler ripartire e abbandonare il lavoro di bovaro e tornare a essere il conduttore di un podere come già fu assieme al padre, scomparso prematuramente per cancrena.

I pioppi, alti e mossi da una leggera brezza, furono il segno che il fiume era vicino e certamente, nella golena, avrebbero trovato quanto cercavano e coronare così il loro desiderio.

-Ormai ci siamo-disse Arrigo.

Non rimasero delusi. Pur a fatica recuperarono tre cavalli ciascuno e ben cinque mucche.

-Tre bestie, Tancredi, le tieni tu. In cambio mi darai un maiale il prossimo inverno.

Da una sporta che i due tenevano legata facendola passare dal cannone della bicicletta, estrassero le corde con le quali legarono gli animali.

La notte passata all’addiaccio non fu poi così terribile come avevano immaginato. La coperta e un pagliericcio improvvisato fatto di briglen, rametti di pioppo, furono utile giaciglio per riprendere le forze. Una sigaretta offerta da un partigiano che assieme ad alcuni ragazzotti sorvegliava la zona, fu il giusto epilogo e premio finale per la faticosa giornata.  

Giunto il mattino, in un tripudio di colori che solo l’alba tersa padana può offrire quando s’insinua tra acqua e alberi, alla bell’e meglio caricarono su un appena recuperato carretto che procedeva sbilenco, i due velocipedi e si avviarono contenti, macché felici, verso casa.

Lungo il percorso subirono molti controlli, ma forti del tacito accordo imperante non ebbero problemi. Chi salvava dall’abbandono le bestie le acquisiva in proprietà.

Con i piedi indolenziti, stanchi e affamati nonché sporchi, i due cow boy padani arrivarono in paese. Ad accoglierli non vi furono solo i familiari, ma anche il commissario politico, indicato da una componente dei liberatori.  

-Venite qua voi due! Fu lo sgraziato imperativo.

Arrigo e Tancredi, tenendo ben salde le corde che assicuravano gli animali, acconsentirono all’invito, orgogliosi di mostrare a cosa erano serviti gli oltre cento chilometri percorsi in soli tre giorni.

Corpulento, con una perenne smorfia stampata sul viso, caratteristica di chi crede di determinare le sorti del mondo, l’improvvisato capetto doveva autorizzare con un timbro la proprietà degli animali recuperati.

Avvicinatosi, Arrigo, si sentì forte nei confronti del capo protempore potendo vantare il coraggio di non essersi piegato al volere fascista di cui non ebbe mai la tessera, diversamente dal bullo che aveva di fronte che solo dopo l’armistizio si distaccò dal quel macabro potere adducendo ragioni che mai sarebbero parse pienamente convincenti. Del resto, Arrigo, nel tempo, pensò che si può anche cambiare bandiera, ma i metodi rimangono confrontabili.

-Abbiamo deciso che gli animali per il loro alto utilizzo a favore del popolo, sono di proprietà della costituenda cooperativa che mi pregio di presiedere. A nome di tutti i cittadini democratici che con coraggio sono stati di aiuto e conforto all’azione partigiana, vi ringrazio per aver recuperato con coraggio, in sprezzo del pericolo, solerzia e generosità, gli animali che ora alloggeremo nella stalla allestita dalla collettività.

Arrigo, rimase impietrito. Conosceva i metodi degli arroganti che impersonano il potere. Lasciò andare la corda che aveva retto senza mai abbandonarla, fin dalla cattura degli animali.

Tancredi, corroso dalla rabbia, porse la corda che legava gli animali con un irriverente e sarcastico inchino al capetto, conosciuto come Dorian, soprannome ispirato dalla bibliografia di Oscar Wilde, senza risparmiarsi un commento irriguardoso. Lui, mai prodigo di parole e avaro di pensieri, guardò negli occhi il satrapo e con un sorriso da almanacco fotografico anticipando di gran lunga una visione che non tardò a essere di dominio comune, disse – Siete tutti uguali.

Arrigo, mesto, leggermente claudicante, giunto a casa non accettò le parole accorate della moglie. Annegò la rabbia nel bicchiere e quando ormai la notte avvolgeva l’intero borgo, si alzò e andò in cantina.

Il rumore del catenaccio svegliò la moglie che raggiunto il marito constatò che già aveva caricato la pistola che non aveva consegnato a chi di dovere, come disposto.

-Arrigo…

La moglie lasciò in sospeso il suo pensiero che era una supplica, una raccomandazione, una preghiera.

Il marito, che già stava aprendo la porta per uscire di casa, udendo il suo nome così pronunciato colse il senso dell’implorazione. Si fermò quando ormai era sulla soglia. Si volse verso la moglie. Gli occhi erano lucidi di pianto. La guardò intensamente e in un attimo rivide la sua vita di stenti, di fatica, di delusione, ma anche di coraggio, forza d’animo.

-Hai ragione. Quel bullo, teppista, bravaccio e spavaldo, non merita nemmeno una dignitosa schioppettata.

Disarmò l’arma e scese in cantina per riporla.

-Domani la consegno ai carabinieri. L’occasione può far l’uomo un assassino.

La moglie tornò serena fra le coltri. -Meglio poveri e spiantati che criminali in galera- pensò.

Il rumore della porta che si apre la portò di corsa di nuovo all’inseguimento del marito. –

– Tranquilla – disse sorridendo – Non ho voglia di attraversare il cortile per andare al cesso.

La moglie aspettò che entrasse, lo aiutò a chiudere la porta e con tutta la tenerezza che aveva serbato in corpo, lo abbracciò.

Il solo gesto che seppe fare per ricambiare la dolcezza della moglie fu di accarezzarle i capelli.

Salirono le scale per andare in camera. Arrigo prima entrò nella camera dei ragazzi e per ognuno dei cinque figli ebbe una carezza e un bacio di cui mai seppero e che restarono solo nella sua memoria e della moglie, sorpresa da quanto visto.

– Non tutti i mali vengono per nuocere – disse.

– Cosa?

– Niente. Dormi ora che sei stanco. Domani dovrai andare a cercarti un lavoro.