Matrimonio di Valentina e Federico a Poggiolforato
La facciata bianca della chiesa, con l’architettura che evoca lidi d’oltreoceano quasi fossimo in Messico, si staglia nel verde della montagna: la Riva. Una catena di monti che sovrasta il borgo di Poggiolforato, teatro di imprese memorabili durante il secondo conflitto mondiale che vide lo sgretolamento della Linea Gotica: ultimo baluardo eretto dalle truppe tedesche per sbarrare l’accesso a Bologna delle truppe Alleate sorrette dalle Brigate Partigiane che su questi monti urlarono i primi vagiti di ribellione. Un’insolita presenza si registra in una domenica di luglio con la contemporanea convivenza di eleganti giovani, bambini addobbati di tulle o in candide camicie bianche e famiglie. Non possono essere gitanti radunati per un’escursione all‘acqua sulfurea, la Puzzola, che sgorga lungo il percorso della Dardagna e nemmeno turisti in visita al museo che in due sezioni offre al visitatore testimonianza della cultura montanara. L’ignaro cronista poi volge l’occhio a sud e portandosi la mano alla fronte in guisa di visiera per proteggersi dall’accecante sole mattutino, vede un nutrito gruppo di persone che ricordano un’inquadratura del film di Bunuel “Il fascino discreto della Borghesia”. Beh, a guardare meglio pare più una scena ispirata a Il quarto stato, il famoso dipinto dell’artista piemontese Pellizza da Volpedo. Al centro del corteo, in prima fila, una Venere spunta dal fondo della strada. E’ vestita di bianco, radiosa, circondata da un corteo eleganti persone di varia età. Le scarpe coi tacchi obbligano la sposa, di questo si tratta, a passi incerti, ma nel contempo risoluti per arrivare alla meta, davanti all’oratorio, dove lo sposo l’attende. La chiesa rinvigorita da pitture murali di fresca realizzazione per merito di mani generose, si ravviva al momento dell’incrocio del corteo con il crocchio in attesa. Un abbraccio e un bacio suggellano l’incontro fra i due promessi sotto gli occhi compiaciuti e divertiti della loro erede in veste di damigella. Finalmente, nel piccolo Borgo con un numero di abitanti che si contano utilizzando le sole mani degli sposi, un evento che inneggia alla vita. Un matrimonio, uno dei soli 180.000 che allietano l’Italia di oggi e che disegnano una timida speranza di futuro. Ora Poggiolforato non è un paese per vecchi come recita il titolo dell’omonimo film diretto da Joel e Ethan Cohen, ma luogo dove si celebra una nuova famiglia foriera e viatico di nuovi cittadini. L’abile e sapiente lavoro di alcuni volontari ha reso pulita tutta l’area circostante la chiesa e pure l’interno è stato pulito e rinnovato. A distanza di anni il pennello che usò un altro volontario, Clauco, trova vigore per ridipingere il tempio secondo la bisogna. La vecchia struttura in sasso, un tempo Casa del Popolo e sede del CRAL con tutti gli annessi del caso quali le imprecazioni che certamente accompagnavano le innumerevoli briscole dei montanari liberi dal lavoro nei boschi, ora riluce di colori e gioia. I colori delle ortensie ravvivano il paese. I giardini e i recinti pullulano di queste piante in un trionfo di colori e ribadiscono la loro generosità, forza e resistenza. Sono piante estremamente adattabili che prolificano all’ombra quanto al sole, crescono in ogni tipo di terreno a patto che si provveda a fornire loro un regolare apporto dell’acqua ed un buon drenaggio. Se poi le si ama non bisogna far mancare il giusto arricchimento di humus composto di foglie e scarti organici. L’ortensia non teme più di tanto i rigori dell’inverno e in ciò è la ragione della loro cospicua presenza nonostante il freddo degli 890 metri di altitudine del borgo che, ricordiamo, prende il nome dal foro eseguito in epoca medioevale per far passare il fiume e consentire il trasporto dei tronchi di cui Bologna aveva forte necessità. Siamo in Val Carlina, denominazione nota ai più a partire dagli anni sessanta, ma la quasi avvenuta estinzione di detta pianta potrebbe far optare per una aggiornata definizione dei luoghi posti a valle del Corno alla Scale. Opteremmo per Valle delle Ortensie. Valentina e Federico con il sostegno dei parenti, degli amici e dei bambini allievi della sposa maestra, sotto l’occhio vigile di Don Giacomo, si scambiano le promesse di matrimonio. Dopo due battesimi, ecco un matrimonio; un mesto cartello affisso alla bacheca ci ricorda il passo finale che appartiene alla vita. Per il concittadino Tiziano che lascia la sua permanenza terrena, così come recita l’annuncio funebre, ecco una promessa d’amore eterno sancita dall’unione di Valentina e Federico che porta al proseguimento della stirpe umana. Il lancio del riso verso gli sposi in uscita dalla minuscola chiesa, suggella questa speranza.