Il fascino inconfondibile di opere che sembrano pronte a prendere vita, l’assoluta concretezza della luce, la forza evocativa del buio improvviso e poi la Roma cinquecentesca ed eterna in cui le epoche si sovrappongono e si fondono l’una nell’altra. Trastevere, San Luigi dei Francesi, le ombre dei ricordi e gli incubi, l’amore e la morte che lo hanno perseguitato. Tutto questo è ‘Caravaggio – Il maledetto’, lo spettacolo con Primo Reggiani, Francesca Valtorta e Fabrizio Bordignon, in scena giovedì 18 gennaio (ore 21) al Teatro Duse di Bologna. La pièce, diretta da Ferdinando Ceriani che firma anche l’adattamento, è tratta da ‘Caravaggio, probabilmente’ del commediografo, attore e regista Franco Molé.
Sul palco, dunque, la storia di un artista che ha reso la sua vita arte e ha dato all’arte la vita, sempre in lotta con gli altri e con sé stesso, fino all’ultimo giorno quando, stremato, venne lasciato morire su una spiaggia vicino a Porto Ercole il 18 luglio 1610.
Se è vero che prima di morire la nostra mente ripercorre i momenti salienti della vita, forse questo sarà accaduto anche a Caravaggio, steso sulle assi di un vecchio letto da pescatore. I dettagli della sua morte ci sono però sconosciuti e questo vuoto assurge a giusto spazio in cui nasce l’opera teatrale con le sue verità e le sue verosimiglianze.
In poco più di un’ora di spettacolo, Caravaggio, ormai morente e consumato dalla febbre, racconta alcuni frammenti della sua straordinaria esistenza. Sente delle voci, rivede squarci di quella Roma violenta e dissoluta in cui si è affermato, i suoi quadri prendono forma e vita sulle pareti della sua stanza. Dagli angoli più oscuri riemergono personaggi a lui cari, su tutti il Cardinal Dal Monte, suo committente e protettore, e Lena, la prostituta che ha dato il volto alle sue madonne. “Con Caravaggio, il maledetto – si legge nelle note di regia – vogliamo riportare alla memoria degli spettatori vicende storiche e personaggi eccezionali, presentarli come persone umane, simili a noi, coinvolte dalle nostre stesse passioni, dai nostri stessi rimorsi per poi ritrovarli, così profondamente concreti e sublimi, nelle tele del pittore lombardo”.