E dire che ci hanno insegnato che per crescere è necessario imparare dai propri errori. Poi ci hanno insegnato che la Storia è maestra. E poi altro ancora.
Ma non è servito a nulla.
Nella vita quotidiana, infatti, quasi sempre quando qualcosa non va bene siamo pronti ad accusare gli altri o il destino infame per assolverci, anziché fare autocritica e cercare di migliorarci.
In politica, poi, gli errori si ripetono a ritmi preoccupanti al punto che all’affermazione “la Storia è maestra” si è dovuto aggiungere ”solo che non ha alunni”.
A mo’ di promemoria credo possa risultare utile rivedere le puntate precedenti l’attuale deriva postdemocratica nel nostro Paese.
Ricordo come fosse ieri, era il 2002, una pratica che chiamavano “girotondi“. I girotondini denunciavano sia il pericolo per la democrazia di un imprenditore che entrava in politica con alle spalle un impero televisivo grazie al quale riusciva a condizionare pesantemente il dibattito politico, sia l’atteggiamento compiacente della sinistra nei confronti del Cavaliere.
Questo atteggiamento compiacente venne sfacciatamente a galla nel 2006 quando Romano Prodi, divenuto Presidente del Consiglio, non ebbe il coraggio di affrontare, fra gli altri, il tema che, evidentemente, non appariva scottante, del conflitto di interessi.
Poi, però, qualcuno notò e fece notare l’assenza di una pur minima indignazione quando un tale che si spacciava per segretario di un partito di sinistra cominciò a fare cose che a molti non parevano di sinistra, come la riforma della scuola dal titolo la “Buona scuola”, scritta sotto dettatura di Confindustria, e il Jobs Act. Se quella era una “buona scuola” in tanti non immaginavano come potesse essere quella cattiva, tanto è vero che, ironicamente, molti insegnanti la definirono “una scuola alla buona”. Ma col Jobs Act, entrato in vigore nel 2015, l’allievo aveva superato il maestro realizzando ciò che neanche il Cavaliere era riuscito a realizzare, ovvero l’abolizione dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, confermando così che in Italia se c’è da fare un lavoro sporco subito la sedicente sinistra si presta, con spirito patriottico, a farlo, togliendo le castagne dal fuoco alle destre.
Il fatto che l’OCSE, il cui obiettivo dichiarato è di “promuovere politiche che favoriscano prosperità, uguaglianza, opportunità e benessere per tutti”, avesse mostrato apprezzamento per ambedue i documenti non destò particolare preoccupazione nella sinistra.
Qualche anno dopo, nel novembre del 2019, arrivarono le “sardine” (il cui nome faceva già ridere di suo) che, di lì a poco, sarebbero scomparse all’orizzonte senza lasciare traccia. Forse qualcuno credeva veramente che quattro scappati di casa potessero spaventare l’establishment?
É proprio vero che Giove toglie il senno a chi vuol perdere! Possibile che il più grande partito della sinistra non si sia reso conto che la metamorfosi in corso, per dirla con Canfora, ne avrebbe decretato il declino? Pensava davvero che sarebbe passato inosservato ai suoi elettori sottrarsi al suo compito storico di intercettare il malessere di tanta parte del popolo italiano, lasciando, soprattutto, che le destre si intestassero le istanze di riscatto dei ceti medio-bassi?
Possibile che nessun partito, di quelli da cui te lo aspetteresti, dico, si sia alzato in piedi per denunciare le politiche neoliberiste e il loro strascico di derive autoritarie di cui tanto oggi ci si duole? Ed allora perché stupirsi se, sempre oggi, a livello planetario avanzano pressoché indisturbate le destre, con tutto l’armamentario ideologico che le contraddistingue? Forse che qualcuno si sia preoccupato in questi ultimi decenni di opporvisi con politiche volte a ridare fiato ai ceti meno abbienti che arrancano senza vedere possibilità di riscatto?
Chi semina vento, raccoglie tempesta.
Stiamo raccogliendo il frutto avvelenato di decenni di assuefazione al modello neoliberista del quale alcuni intellettuali, non si comprende in base a quale principio, continuano a preconizzare l’imminente crollo, dimenticando la capacità camaleontica del capitalismo di reinventarsi. A questo si aggiunga l’accondiscendenza e l’appoggio di tanta parte dell’informazione che tace colpevolmente, non tanto dell’aumento della povertà che non può essere nascosto, ma delle vere cause che la producono. Infatti, essa è quasi sempre pronta a fornire alibi ad un sistema che dimostra con le sue scelte di non voler prendere in considerazione l’unica vera possibilità di combatterla, ovvero l’attivazione di politiche espansive, continuando imperterrito ad inseguire politiche austeritarie e di controllo della spesa pubblica, sistema di cui due donne sono attualmente strenue difenditrici e paladine indefesse: Ursula e Christine. Paradossale poi mi pare il conferimento del Nobel per l’economia a studiosi che affermano di avere individuato strumenti per ridurre il divario fra ricchezza e povertà. È pensabile che non si rendano conto di essere prigionieri dell’ideologia neoliberista che impedisce loro di comprendere le insanabili contraddizioni in cui essa è palesemente avvolta? Continuano a proporre ricette che assomigliano a pannicelli caldi, prospettando finte soluzioni, sicuramente buone per vincere un Nobel ma non certo per scardinare un sistema che, forte di istituzioni come l’FMI e la Banca Mondiale, se la ride al pensiero degli allocchi che se la bevono. Infatti a sentire questi studiosi parrebbe di trovarsi di fronte ad un sistema facilmente emendabile su cui poter intervenire per renderlo più accettabile. Ed intanto avanza l’anarco-capitalismo, fase suprema del liberismo, che a passi felpati sta svuotando quello che resta delle democrazie occidentali, proiettandoci verso un mondo distopico, realtà di cui pochi si accorgono.